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La crisi non ferma la solidarietà delle “vite preziose”

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Di Cristiana Cella, L’Unità, 23 maggio 2012

Grazie a tutti i lettori che continuano generosamente, in un momento difficile anche per il nostro paese, a contribuire, con il loro sostegno, a cambiare la storia di 20 donne afghane. Pubblichiamo oggi gli aggiornamenti sulle vittorie quotidiane delle altre 10 donne che fanno parte del progetto (le prime dieci sono state pubblicate il 30/04). La strada è in salita ma la percorrono con coraggio. Ritrovano la forza di guardare davanti a sé, immaginare un tempo futuro diverso. Si sentono capaci, ci raccontano, per la prima volta, di fare qualcosa per se stesse e per i propri figli.

Speranza è la parola che ricorre più spesso nei messaggi che ci hanno mandato. Una parola smarrita, nella tragedia quotidiana, che ritorna dopo tanto tempo. Per sentirsi, per la prima volta, in grado di indirizzare un destino dal quale sono state escluse per nascita. E’ questo che stanno facendo i nostri lettori. Ed è un atto di resistenza. Perché la battaglia per i diritti umani riguarda tutti. Ingiustizia, brutalità e violenza di genere non hanno confini, purtroppo. Anche nel nostro civilissimo e democratico paese, ogni giorno le donne subiscono violenze fisiche e psicologiche. E muoiono per mano dei loro uomini, 54 dall’inizio dell’anno. Anche qui ci sono case protette per salvarsi la pelle e persone che sanno accogliere il dolore altrui. Controllo, possesso, disprezzo. Invece di amore, dignità e rispetto. Incapacità di accettare la libertà della propria donna, le sue scelte, l’abbandono.

Un problema culturale profondo che avvelena anche le società più avanzate, donne e uomini. Una cattiva educazione sentimentale. Anche qui le donne chiedono leggi più severe contro i femminicidi, la fine del silenzio e dell’indifferenza. In un paese devastato come l’Afghanistan, dove la maggior parte delle donne non ha diritti, non ha accesso alla salute, all’istruzione, alla giustizia, dove l’impunità diffusa giustifica e moltiplica i soprusi, la violenza diventa normalità, destino, dovere, legge. In questo contesto, il sostegno economico è molto importante, significa dare strumenti a chi è disarmato. Alle vittime che subiscono abusi e alle donne coraggiose che si battono per loro. 20 donne che ce la possono fare. Una goccia nel mare, si potrebbe dire, ma in questo mare nuotiamo tutti.

Chi vuole contribuire al progetto e sponsorizzare una ‘vita preziosa’ in Afghanistan può scrivere a: vitepreziose@gmail.com

BASERA

Basera, a 14 anni, è stuprata da un amico del padre. Lei lo sa, non troverà conforto nella famiglia. La vergogna, e la colpa ricadono quasi sempre, in Afghanistan, sulla vittima. Ha paura. Che il padre la cacci di casa, che la uccida. Succede. Così nasconde il suo dolore dentro di sé, difficile, alla sua età. Ma non può farlo a lungo. E’ incinta. La madre se ne accorge e decide di risolvere le cose, all’insaputa del padre, in casa, nella stalla, con un coltello da cucina. La ferita, ricucita alla meglio dal fratello, si infetta e Basera sta molto male. Il padre, dopo parecchi giorni, in cui rischia di morire, finalmente si decide a portarla in ospedale. Rimediano al peggio e, alle dimissioni, viene, per fortuna, affidata ad Hawca. Da più di un anno vive nella ‘casa protetta’. Non vuole tornare a casa. Ha paura di quello che il padre potrebbe farle. Le avvocate di Hawca riescono a far arrestare lo stupratore e il fratello, che va in prigione al posto della madre. Difendono Basera dalle insistenze della famiglia. Ma la ferita nel corpo, mal curata, è sempre una minaccia per la sua salute. Come quella nella mente. Curarla adeguatamente costa molto. L’aiuto di Ciro e Michela le ha permesso di essere assistita da medici e psicologi. Così, in poco più di un anno, si è completamente ripresa. Il dolore se n’è andato e può pensare al futuro. Va a scuola e continua, per ora, a vivere nella casa protetta. Ecco cosa ci ha detto: ”Avevo perso la speranza, non so davvero cosa avrei fatto senza questo aiuto. Avevo paura che quella ferita, un giorno o l’altro, mi avrebbe ucciso. Adesso posso ricominciare la mia vita senza paura. Ringrazio tanto le persone che mi stanno sostenendo e spero che continuino a farlo, fino a che sarò in grado di gestire la mia nuova vita da sola.”

SANIYA
Saniya vive adesso, finalmente, a casa del padre. Ora che ha di che vivere non è più un peso e la famiglia ha accettato, dopo molte discussioni, di riprenderla con sé. Ha lasciato lo shelter di Hawca , dove si era rifugiata dopo la fuga dalla casa del marito. 15 anni di matrimonio che le hanno lasciato ferite profonde, nel corpo e nell’anima. Saniya era stata venduta in sposa a 13 anni a un uomo sordomuto. Anzi, a tutti gli uomini di famiglia, suocero e cognati, che abusavano regolarmente di lei, la picchiavano e l’avevano avviata alla prostituzione. Elisa si occupa di lei fin dall’inizio del nostro progetto e , con il suo aiuto, ha potuto curare i gravi problemi ginecologici e mentali che le impedivano di affrontare una vita normale. Sta bene adesso, insieme al suo bimbo più piccolo, nato nello ‘shelter’. Quello un po’ più grande, adesso può andare a scuola. Ma Saniya di figli ne ha quattro, nemmeno sa di chi sono, sono solo suoi, dice. Quelli rimasti col marito le mancano da morire. Ma non tornerà mai più in quella casa, nonostante le richieste e le assicurazioni dei parenti. Il divorzio, che sembrava concluso, si è invece arenato. La procedura per una donna che vuole divorziare diventa sempre più difficile. Le avvocate stanno lavorando per abbattere gli ostacoli legali. Quelli maggiori riguardano la custodia dei figli. Possibile solo se dimostrerà alla Corte di avere una fonte autonoma di reddito per mantenerli. E’ questa, adesso che ha recuperato le forze, la sua sfida: costruirsi una piccola attività che le permetta di vivere insieme a loro. L’incubo è sempre lì, ogni giorno, ma è passato. Può guardare avanti, è serena. Un percorso che, continua a dire, non avrebbe potuto fare senza Elisa al suo fianco.

FARIYA
Fariya è vedova con nove figli. Una condizione difficilissima in Afghanistan. Sopravvivere in dieci è un’impresa superiore alle sue forze. Il suo lavoro di pulizie nelle case dei vicini non basta affatto. I bambini più grandi cercano di lavorare ma sono tutti malati e questo è un grosso ostacolo. Non ha nemmeno un posto dove vivere. Qualche parente, a turno, li ospita per un po’, in una stanza della casa ma anche loro vivono a stento e, ogni volta, sono costretti a riprendere il loro pellegrinaggio. Quando Fariya si rivolge al Centro Legale è senza speranza per il futuro dei suoi figli, non ce la fa più, ha 49 anni, tanti per il suo paese. Marisa e Italo, da quest’anno, si prendono cura di lei e della sua numerosa famiglia. Sta ancora cercando una casa dove vivere stabilmente, non è facile, gli affitti sono molto cari. Può però nutrirli a sufficienza, tutti, nove. E, la cosa per lei più bella e importante, adesso, può mandarli a scuola, invece che a lavorare o a mendicare. Ora può cominciare a curarli, hanno tutti bisogno di trattamenti medici. Ecco le sue parole piene di sollievo:” Non posso nemmeno immaginare cosa sarebbe stata la mia vita senza l’aiuto di Hawca e dei miei sponsors. Ero davvero disperata, mi capitava ogni giorno di piangere, pensando ai miei figli con la pancia vuota e con tanti problemi. Non potevo fare niente per loro. Adesso mi sento in pace, sono confortata perché possono mangiare, andare a scuola e avere un futuro.” Il cammino verso la sognata normalità è lungo e i problemi sono ancora tanti, ma Fariya non deve più portarli sulle spalle da sola. Ha ritrovato la fiducia, pensa davvero di potercela fare.
SHAZIYA
Insegnava Shaziya, un lavoro che le piaceva molto e le dava da vivere. Col matrimonio finisce tutto. La casa del marito si chiude su di lei. Il lavoro fuori casa è proibito. Eppure sarebbe una risorsa indispensabile. Il marito è malato e non può provvedere alla famiglia e anche Shaziya ha bisogno di soldi per i molti problemi fisici che l’affliggono. Hanno 4 figli e dipendono in tutto dalla famiglia del marito, per la quale sono un peso, a volte insostenibile. Riescono a stento a sfamarsi. Nessuna possibilità di vedere un medico. Entrambe temono per la propria vita e per il destino dei figli. Adesso, grazie all’aiuto di Maria Pia, di Laura e del Cisda, sono seguiti da un medico e si stanno curando. Il marito sta un po’ meglio ma la sua salute è ancora un grosso problema, dopo tanti anni in cui è stata trascurata. Anche Shaziya sta meglio e continua a seguire le cure necessarie. ”Questo sostegno- dice- ha salvato le nostre vite.” E le permette, adesso, di mandare a scuola i bambini invece di farli lavorare. E’ questo il suo sogno più grande, che siano istruiti, per un futuro diverso, quello che a lei è stato portato via. Spera di ottenere dai familiari il permesso di lavorare fuori casa, una volta guarita, e diventare indipendente economicamente. I suoi soldi mensili, che hanno migliorato la situazione della famiglia, sono un punto a suo vantaggio. Ma la battaglia è dura. Se non ce la farà, Hawca l’aiuterà a trovare un lavoro di cucito da fare a casa. E’ molto brava.
SHAFEYA
La vita di Shafeya, già difficile, diventa un inferno due anni fa. Il marito riesce a stento a sfamare la famiglia, cerca invano un lavoro migliore della sua bancarella per strada. Una ricerca frustrante e inutile. Vivono a casa del cognato, che impedisce a Shafeya di lavorare e si comporta con lei in modo brutale. Violenze verbali e fisiche sono quotidiane. Non hanno niente. Tanto meno il denaro per poter curare Shafeya che ha molti problemi di salute. Il marito crolla e comincia a drogarsi. Diventa violento, come il fratello. La picchia per strapparle i pochi soldi che riesce a guadagnare di nascosto, per il figlio. Se li spende in dosi. Scappa con il bambino a casa del padre. Ma non potrà restarci per molto, non c’è posto per altre bocche da sfamare. Dovrà tornare a casa del cognato, la sua paura è destinata a ricominciare. Ma, da quest’anno, la sua vita cambia. Isabella si prende cura di lei. Può restare a casa dei suoi, adesso che può mantenersi autonomamente. Può respirare di nuovo, lontano dalle urla, dagli insulti, dalle violenze dei due fratelli. Non vuole tornare a casa del cognato ma non vuole nemmeno il divorzio. Shafeya è una donna generosa, sa perdonare. Crede che il marito sia un brav’uomo, nonostante tutto, e non rinuncia alla speranza di strapparlo alla droga e di ricostruire la sua famiglia, per conto loro. Instancabilmente, cerca di portarlo in un centro di recupero per tossicodipendenti. Parte del sostegno che riceve serve per curarlo. E’ migliorato ma è ancora molto difficile vivere con lui. Per questo, per ora, resta con il padre. La sua famiglia vive meglio adesso, può permettersi di curarsi e le sue condizioni sono migliorate. Intanto vuole imparare qualcosa che le permetta di costruire la sua indipendenza economica. Ecco le sue parole: ” Sono immensamente grata alla mia sponsor e ad Hawca per avermi ridato la speranza. Questo aiuto ha cambiato la mia vita. I problemi sono ancora tanti e non è facile, per una donna afghana, vivere in modo indipendente. Ma adesso so che posso farcela e farò del mio meglio.”
SHOGOFA
La famiglia di Shogofa non ha mai avuto una casa. Hanno sempre vissuto sotto una tenda, davanti allo spazio usato per i combattimenti dei galli. E’ questo il mestiere del padre. Le donne devono contribuire al magro bilancio andando a mendicare. Shogofa si innamora di Anwar e sogna una vita diversa con lui. Ma il padre ha altri progetti, vuole sposarla a chi paga bene, forse potrà barattarla con qualche bel gallo litigioso e aggressivo come lui. Oppure resterà in famiglia, a mendicare come le altre sorelle. Shogofa non ci sta. Scappa per sposarsi con il suo amore ma il padre la ritrova. Minaccia di ucciderli entrambe. Si rifugia nella ‘casa protetta’. Le assistenti di Hawca cercano invano di farlo desistere dalle minacce e di convincerlo a lasciarla vivere in pace. Il sostegno di Cristina e Alessandra cambia le carte in tavola. Shogofa adesso aiuta la sua famiglia. Vivono meglio, grazie a lei, e le donne non sono più costrette a mendicare. Il padre, ora che i due ragazzi hanno di che vivere, sembra convincersi. Ma non vuole accettare la fuga della figlia con un uomo. Un marchio di vergogna, che ritiene insostenibile e che deve essere punito. I ragazzi si sposano lo stesso. Con il sostegno delle nostre lettrici potranno organizzarsi un lavoro, progettano, sognano, ma , ancora, ognuno per conto suo. L’iter formale del matrimonio non è ancora concluso. Finché non ci saranno tutti i documenti, Shogofa rimane nello shelter, al sicuro dalle minacce. Quando tutto sarà a posto il padre non avrà più il diritto di ostacolare la sua felicità. Manca poco.
LENA
La vita della famiglia di Lena è molto dura, come tante altre nel suo sfortunato paese. Vivono in una casa diroccata, distrutta dalla guerra, per la quale pagano l’affitto. Nessun lavoro possibile per il padre, debole e malato. Così i ragazzini più grandi vanno a mendicare e a frugare nelle discariche, se ne vedono tanti, come loro, in Afghanistan. Il padre non ce la fa più e prende una decisone: venderà in sposa la figlia di 14 anni, il loro unico bene, per campare meglio, almeno per un po’. Lena ha sopportato tutto ma questo no, non può. Sacrificare sua figlia è troppo. Chiede aiuto al Centro Legale di Herat e lo trova in Francesca. Con il suo aiuto, la ragazzina è salva dal matrimonio forzato. Non è più necessario venderla, le condizioni di vita della famiglia migliorano, e il padre, per ora, si convince a tenerla con sé e a permetterle di andare a scuola. Promette anche di lasciarle finire gli studi prima di pensare a sposarla. Anche gli altri figli adesso vanno a scuola. Per Lena è un grande sollievo non vedere più i bambini, ogni giorno, per la strada, a stomaco vuoto. E, soprattutto, è felice per la sua bambina. E’ lì, accanto a lei, e studia per un futuro, spera, diverso.
BEHNAZ
Behnaz, 22 anni, suo marito lo amava. Si volevano bene ed era lui a proteggerla dalla sua brutale famiglia con la quale devono vivere. Dopo la morte del marito, resta sola e prigioniera, con le sue due bimbe, della trappola familiare. Dovrà sposare suo cognato, è così che si fa. Non c’è scelta, non c’è mai per le donne. Il ricatto è chiaro: se se ne andrà o sposerà qualcun altro perderà per sempre le figlie. Figlie del padre e, di conseguenza, responsabilità della sua famiglia. La madre non ha voce in capitolo. Ma Benhaz si ribella. Il brutale cognato ha già due mogli, vittime delle sue quotidiane violenze. Non lo sposerà mai. Scappa dal padre che non si può far carico del loro mantenimento, così la rispedisce sempre indietro. Quando arriva il sostegno di Annalisa le cose cambiano. Il padre, adesso che non è più a carico loro, ha finalmente accettato di farla stare stabilmente nella casa dei genitori. E’ qui che vive adesso, con le due bambine, molto sollevata. Può curarsi, sta meglio, e armarsi per la battaglia in corso. “Quando mio marito è morto ero disperata, per me e per le mie figlie. Pensavo che non sarei mai stata una buona madre perché non potevo fare niente per loro e per il loro futuro. Questo aiuto ha cambiato completamente la mia vita. Mi ha dato il coraggio di continuare a lottare per una vita nostra.” La sua battaglia, quella di sfuggire al ricatto, è in corso ed è molto difficile. La famiglia del marito non demorde. O sposerà un cognato o perderà le figlie. Punto. La sfida è questa: riuscire, in questo tempo tranquillo a casa dei suoi, a trovare un lavoro per convincere i giudici che è in grado di occuparsi delle bambine. Ci sta provando.
SEEMA
La paura più grande per Seema è quella per il destino delle sue figlie. Il marito è tossicodipendente e violento. Seema lavora di nascosto, nasconde anche i soldi, per mandare a scuola le figlie. Poi, le cose peggiorano. Lui si accorge del suo lavoro, con la violenza le strappa il denaro per la droga. Niente più scuola e botte anche per loro. Ma la minaccia peggiore è che il marito possa vendere le ragazzine per la prostituzione, è questo che fa adesso. L’aiuto di Francesca, gestito da Hawca, libera Seema da questa angoscia. Adesso le figlie possono mangiare a sufficienza e hanno ripreso la scuola. Sono sorvegliate perché il padre non le faccia sparire. E’ il primo passo, l’urgenza, ed è già molto nella sua situazione. Il sollievo è enorme, anche se i problemi sono sempre gravi. Intanto le avvocate stanno cercando di farle avere il divorzio. Anche Seema ha cominciato a studiare, con la speranza di trovare un lavoro decente che le permetta di portare via le figlie da quella casa. Non essere più sola le dà il conforto e il coraggio per farlo.
MALEYA
La vita di Maleya non è molto diversa da quella di Seema. E’ sposata dal padre a un cugino tossicodipendente a 12 anni. Niente lavoro per lui, solo la rabbiosa ricerca della dose quotidiana che lo riducono una larva. Rimane l’energia per la violenza quotidiana sulla moglie, quella non manca mai. Il marito sparisce per tre anni. Maleya spera di non vederlo più. Ma il fratello lo ritrova e tutto ricomincia, peggio di prima. Ha tre figlie. Per loro lavora di nascosto come cuoca, le cresce e le manda a scuola. Da un anno la situazione peggiora. L’uomo le chiude in casa. Maleya riesce lo stesso a lavorare ma meno di prima e a rischio di scatenare la violenza del marito. I soldi sono pochi e deve scegliere: pagare l’affitto o la scuola delle figlie. Con la morte nel cuore, le ritira da scuola. Il marito continua a gridare che il suo lavoro fuori casa è una vergogna per lui. Così decide di procurargliene uno a domicilio e porta a casa degli uomini, per lei e per la figlia maggiore. L’aiuto di Maria Adele comincia a tamponare l’emergenza. La figlia più grande adesso può curare i danni della sua vita in famiglia, va ogni giorno all’ospedale e sta meglio. Non sarebbe stato possibile senza il sostegno. Costa molto curarsi. E le ragazze vanno di nuovo a scuola. Maleya è felice che adesso possano sperare in un futuro migliore del suo: ”Se avessi avuto almeno un’istruzione, avrei potuto lasciare mio marito e trovare un lavoro buono e una vita migliore per le mie figlie. Glielo dico sempre: studiate, solo così potrete essere indipendenti e non soffrire quello che ho sofferto io.” Le avvocate stanno cercando di ottenere il divorzio. Intanto, il denaro che riceve, gestito da Hawca e al sicuro dal marito, rende anche possibile un controllo sul padre, impedendo la prostituzione forzata. La strada è ancora lunga ma Maleya, adesso, può permettersi di sperare.

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