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Basta favole sull’Afghanistan

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Gianni Cipriani, 30.3.2012 – Globalist.it

Il generale Abrate, parla dei nostri militari morti e dice che si stanno compiendo i primi passi verso lo sviluppo. Primi passi? Ma se siamo lì dal 2001…

“La condivisione e la collaborazione delle nostre forze Isaf con le truppe afghane dà sempre più fastidio agli insurgents. Questo è il vero motivo per cui ci attaccano, ma noi non dobbiamo farci piegare da queste fiammate che possono essere ben dominate soprattutto con una sempre maggiore e penetrante collaborazione con le forze locali”. E ancora: l’Afghanistan “è cresciuto sotto il profilo della sicurezza, soprattutto nella zona di nostra competenza, sotto il profilo della governance e si stanno compiendo i primi significativi passi verso lo sviluppo”.

Così il generale Biagio Abrate, capo di stato Maggiore della Difesa in visita ad Herat a chi gli domandava dei 50 morti tra i militari italiani.
Ho troppo rispetto per chi rischia la vita e rappresenta l’Italia per infilarmi in polemiche demagogiche. Né mi sfugge che i militari italiani sono in Afghanistan perché così hanno voluto i governi che si sono succeduti dal 2001 ad oggi e così ha sempre deciso il Parlamento.
Tuttavia, proprio per il rispetto dei morti, dei feriti, di coloro che quotidianamente sono esposti al fuoco e agli agguati, io penso che sarebbe ora di chiamare le cose con il loro nome, senza continuamente nascondersi dietro formule tristemente vuote o “pettinare” la cruda realtà dei fatti, come si usa fare in alcune trasmissioni televisive, dove storie strappacuore sono finte e interpretate da figuranti di professione pagati per recitare il loro ruolo. Dice il generale: ci sparano perché diamo fastidio. Davvero? Siamo diventati tutto insieme così vigorosi e scomodi? Direi di no, almeno se i numeri e le statistiche hanno un senso: i talebani o, gli insurgents se vogliamo usare i termini dei manuali Us Army, attaccano tutti i militari stranieri dal 2001 ad oggi, là dove è possibile, e ancora non si sono fermati. Forse perché, piaccia o non piaccia, il problema non è che gli italiani danno “fastidio”, ma risiede nel fatto che in 11 anni i grandi eserciti e le nazioni civili non sono non solo riusciti a vincere militarmente la loro guerra, ma sono stati sconfitti politicamente. Nessun movimento guerrigliero, se isolato, potrebbe reggere così a lungo in un rapporto così impari di forze. Queste cose, se non erro, nelle accademie militari si studiano almeno fin dalla disfatta francese in Indocina e la battaglia di Dien Bien Phu del 1954.

Mi rendo conto che il generale Abrate, a differenza di quanto fece il deposto capo delle forze armate Usa in Afghanistan, McChrystal, non può scrivere una relazione per dire, sostanzialmente, che fino a quando la “democrazia” produrrà più vittime e ingiustizie della “dittatura” non ci sarà bombardamento che tenga per vincere.
Ma perché sostenere, a fine marzo 2012 che “si stanno compiendo i primi significativi passi verso lo sviluppo”. E dal 2001 a oggi cosa è stato fatto? Dove sono finiti i miliardi e miliardi di euro, compresi quelli versati dagli italiani che pagano le tasse? E ancora: nei giorni scorsi l’Unama (la missione di assistenza delle Nazioni Unite) ha scritto nel suo rapporto, che le priorità per i prossimi mesi sono la “lotta contro la corruzione, la continuazione degli sforzi per la tutela dei diritti umani e la prevenzione di vittime civili”.
Le solite “priorità” mai risolte, Nel rapporto di fine 2011 della stessa agenzia si rileva come tra i civili i morti censiti (e chissà quelli non censiti…) sono passati dai 1523 del 2007 ai 3021 del 2011. E noi di cosa stiamo parlando? Ineffabili, siamo ancorati agli slogan sulla “missione di pace” e della “lotta al terrorismo”. Parliamo di primi passi? Un bambino nato il giorno dell’inizio della missione internazionale oggi fa la quinta elementare. Altro che primi passi…
Nel rispetto dei morti occorrerebbe tacere. Ma se proprio dobbiamo parlare raccontiamo la realtà delle cose. Di favole son piene le fosse.

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