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Vite preziose: il successo del progetto dell’Unità e di HAWCA

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L’Unità, 4 Ottobre 2011 di Cristiana Cella
Tutte le 12 donne afghane di cui abbiamo raccontato le storie sono state sponsorizzate dai nostri lettori. Un risultato che ci rende fieri della sensibilità e della solidarietà di chi ci legge. Anche Homa ha trovato l’aiuto di Giovanna e potrà prima di tutto curarsi e ritrovare un po’ di speranza per il suo futuro e quello di sua figlia. I programmi di sostegno sono cominciati durante l’estate e le donne, adesso, sanno che possono contare su persone lontane, pronte a dar loro una mano. Non credo che se lo sarebbero mai aspettato e già questa è per loro una sorpresa straordinaria. Le operatrici di Hawca, quotidianamente impegnate nel lavoro sul campo, ci manderanno un report sugli interventi avviati per ogni donna sponsorizzata. Per quelle che risiedono fuori Kabul, i tempi sono un po’ più lunghi, non ci si muove facilmente. Soprattutto sono iniziate le cure mediche per i casi più urgenti. Poi, pian piano, cercheranno di districare il complesso intreccio di abusi cui queste donne sono sottoposte. Per chi vive ancora nella famiglia del marito, il denaro verrà convertito da Hawca in medicine, visite, cure, strumenti di lavoro. Questo per evitare che mariti, cognati e suoceri ne approfittino.
Gli sponsor continuano a scriverci, ecco, dunque, le storie di altre donne che hanno bisogno di sostegno. 

Leghiamo a noi i sogni delle donne afghane: progetto VITE PREZIOSE

HAWCA: chi sono e cosa fanno

Come contribuire al progetto nato dall’idea dei lettori dell’Unità

I PROGETTI A CUI ADERIRE

LE NUOVE STORIE
La tossicodipendenza è un ulteriore disastro che si è abbattuto sulle donne afghane. Un disastro insidioso, inarrestabile, che uccide il futuro del Paese, che rende devastanti situazioni familiari già insostenibili. Che coinvolge uomini, donne e bambini. Che si porta dietro la diffusione di malattie collaterali: epatite e HIV. I tossicodipendenti sono ormai più di un milione, in continua crescita. Difficile avere dati certi: la droga è socialmente stigmatizzata, vietata dalla religione, una piaga nascosta. Una sfida quindi, anche convincere le persone a curarsi nei pochi centri istituiti a questo scopo. Una lotta titanica. La produzione di oppio è cresciuta negli ultimi dieci anni, dal 2001 quando era stata quasi debellata, di 40 volte. Un vero record produttivo: il 93% della produzione mondiale. I trafficanti si sono organizzati con numerose raffinerie per produrre direttamente eroina, destinata soprattutto all’Europa e alla Russia. Un traffico con un fatturato di 65 miliardi di dollari che si alimenta di complicità e corruzione, che coinvolge talebani, signori della guerra e altri personaggi al potere, come il defunto fratello di Karzai. Difficile quindi da debellare per chi ci prova onestamente.
Negli anni in cui la produzione è stata eccessiva, l’eroina si è riversata a basso costo sul mercato interno. Facilmente conquistato, nel degrado sempre in aumento del paese. Di questo ci parlano le nuove storie che raccontiamo. Un problema contro il quale tutte e quattro queste donne sono costrette quotidianamente a lottare. Anche in questi casi, come negli altri, il sostegno economico è fondamentale: per spezzare la dipendenza e il ricatto dei familiari, per avere un lavoro, per vivere e mandare a scuola i figli, per lasciare la casa-prigione, per avere diritto a tenere i figli con sé.

IL RITORNO, STORIA DI MALEYA
Ho 28 anni, sono di Kabul, la mia famiglia è povera ma a casa ci stavo bene. Come tutte le bambine, ero promessa a un uomo, da quando ero piccola. Un cugino di mio padre, non lo avevo mai visto. Stava in Iran, lavorava. Sta facendo soldi, diceva mia madre, avrai una buona vita. Lo pensavo spesso, ne parlavamo tra ragazze. Lo immaginavo bello, ricco, con la macchina, gentile e con una casa vera. In Iran. Lontano. Questo mi preoccupava. E la scuola?
Come sarà la scuola in Iran? La scuola era la cosa più bella della mia vita. Eravamo tutte insieme, ero la più brava. Ho finito le prime sei classi. Non vedevo l’ora di continuare. Ma quell’inverno, durante le vacanze, tutto è cambiato. Mio cugino sarebbe venuto a prendermi, era il momento di sposarsi. Improvvisamente il marito immaginato con le amiche, che poteva essere quello che volevo, non c’era più. Stava per arrivare quello vero e avevo paura. Avevo 12 anni. Lasciare tutto, sola con il cugino sconosciuto. Ma le cose, per noi donne, vanno così. Non era bello, no. Giallo, magro, sporco, gli occhi che non guardavano niente. Non mi piaceva. Niente Iran, meno male, adesso aveva un lavoro a Kabul, saremmo rimasti lì, con la sua famiglia. Non era vero, non lavorava.
Si drogava. A volte delle iniezioni, credevo fosse malato, a volte quel fumo dolciastro che rimaneva in casa. Della scuola nemmeno a parlarne.
Stava sul letto quasi tutto il giorno, come un animale malato. A volte gridava, stava male. Suo fratello si occupava di lui, litigavano spesso. Un giorno, dopo un anno di matrimonio, è sparito. Il fratello lo cercava. Tornava alla sera, lo spiavo dalla finestra, era solo. Scuoteva la testa e io respiravo di sollievo. Speravo con tutto il cuore che non tornasse più. Avrei potuto essere libera, divorziare. Volevo che mio cognato smettesse di cercarlo. Ma non mi dava retta. Sono passati tre anni e mio cognato ha vinto. Una mattina lo ha riportato a casa. Lo aveva trovato in mezzo a centinaia di altri drogati, in un edificio abbandonato, come una discarica di uomini. Suo fratello ha detto che ero obbligata a vivere con lui, a obbedirgli, era mio marito. Non sembrava più nemmeno un uomo, figuriamoci un marito. La vita spremuta via, solo la cattiveria era rimasta. Adesso ho tre figlie, femmine. Lui non vuole che esca di casa ma, per fortuna, dorme con gli occhi aperti per molte ore. Io vado a lavorare di nascosto per dare da mangiare alle mie figlie.
Faccio la cuoca, lo faccio bene. Sono riuscita a farle crescere, a mandarle a scuola. Da sei mesi le cose sono peggiorate. Ci ha chiuso in casa. Niente scuola per le ragazze, basta. Solo botte, anche per loro. Le sue botte sono la mia sveglia, ogni mattina. E ogni mattina maledico il giorno del suo ritorno. Andare a lavorare di nascosto è sempre più difficile. Se scopre che sono uscita mi picchia e ho paura che, mentre non ci sono, se la prenda con le bambine. Intanto si prende i miei soldi, i miei guadagni. E forse è questo che gli ha dato l’idea. Il lavoro onesto fuori, no, sarebbe una vergogna. Ma posso fare altro, guadagnare per lui, senza uscire di casa. Sono già tre volte. Ha portato a casa degli uomini, per me e per la mia figlia maggiore. Vorrei combattere, scappare con le mie figlie. Ma ho paura. Di tutto. Non so dove andare, cosa fare. Vorrei il divorzio, lavorare perché le bambine vadano a scuola, per il futuro brillante che sognano, ma che diventi vero.

PROGETTO PER MALEYA (sostegno mensile)
Maleya vive ancora col marito. Ha chiesto aiuto al centro legale di Hawca. Le avvocatesse stanno cercando di ottenere il divorzio. Le serve aiuto per potersene andare da quella casa con le sue figlie, per poterle mantenere e mandarle a scuola. Per avviare il passaggio alla nuova vita nella quale potrà lavorare come cuoca per un futuro diverso.

PULIZIE. STORIA DI SEEMA.
Mi chiamo Seema e sono di Bamyan. Ho 35 anni. Sono sposata da 20 anni con mio cugino, tossicodipendente. Dal primo giorno mi ha picchiata, è un’abitudine, sembra non possa farne a meno. Ha sempre bisogno di soldi per la droga. Sa che ne ho e li vuole. Per questo mi picchia. Lavoro, di nascosto, per far crescere le mie figlie e mandarle a scuola. Mi metto il burka e vado a pulire le case degli altri. Pulire tutta la sporcizia che ho intorno. Quando esce, l’aria della casa diventa più leggera. Possiamo respirare e immaginare una vita senza di lui. Ma poi torna sempre. Da un anno le cose sono peggiorate. Esce poco e io non posso lavorare. Niente più scuola per le mie figlie, i soldi non bastano. Le ragazze sono cresciute e lui se n’è accorto. Ha cominciato a picchiare anche loro. Non posso proteggerle e ho paura del futuro. Ho paura perché adesso lui ha un lavoro: fa prostituire delle ragazze, le vende agli amici drogati come lui. Ho paura che faccia quello che ha minacciato, vendere anche le bambine, le sue. Devo portarle via di qui e farle studiare.

PROGETTO PER SEEMA (sostegno mensile)
Hawca sta cercando di ottenere il divorzio per Seema. Ha bisogno di sostegno economico per poter lasciare la casa del marito e vivere da sola con le figlie, per la loro educazione e per avviare il suo lavoro in modo da potersi mantenere.

LA MADRE DI GOLAM . STORIA DI NELOFAR
Sono vedova, ho 38 anni e vivo a Novabad. Mio marito è morto di cancro 5 anni fa. Ho quattro figli, di 12, 14, 16 e 18 anni. Viviamo tutti con mio cognato, un uomo crudele. Non mi permette di lavorare. Mi minaccia continuamente: se trovo un lavoro, anche solo se lo cerco, mi caccerà per sempre da casa sua e non potrò rivedere mai più i miei figli. Fuori dalla loro vita per sempre. Non posso vivere senza di loro, lui lo sa, il ricatto funziona. Quel poco che ci serve per sopravvivere lo dobbiamo chiedere sempre a lui, è questo che lo fa sentire forte e padrone della nostra vita, se così si può chiamare. Il mio figlio maggiore soffre più degli altri per questa situazione. Non lo sopporta. Ha trovato amici cattivi. Golam Azrat si sta perdendo, ha cominciato a drogarsi e a picchiarmi, picchia sua madre, a 18 anni. Non è un bel modo per cominciare la vita. In genere lo fa perché non voglio dargli i soldi per la droga. Sono due anni ormai che i bambini non vanno a scuola, non ce lo possiamo permettere. Vanno a mendicare, questo mio cognato non lo proibisce. Mi serve aiuto per lasciare la casa di mio cognato, riprendermi i miei figli, trovare un lavoro per vivere insieme e liberi. E per poter curare Golam, perché smetta di drogarsi.

PROGETTO PER NELOFAR (sostegno mensile) Nelofar si è rivolta al Centro Legale di Herat. Hawca sta seguendo il suo caso per fare in modo che possa lasciare la casa del cognato. Ma il problema principale è quello economico. Nelofar ha diritto ad avere con sé i figli ma solo se è in grado di mantenerli. Ha bisogno di sostegno per avviare un lavoro, vivere da sola con i suoi figli, farli studiare e curare il maggiore per la tossicodipendenza, prima che sia troppo tardi.

GLI AMICI SBAGLIATI. STORIA DI SHAFEYA. Ho 27 anni e sono di Shendand. 4 anni di matrimonio. Difficili i primi due ma niente a confronto degli ultimi. Mio marito aveva una bancarella con la quale riuscivamo a sopravvivere a stento ma non a curare i miei problemi ginecologici. Ogni giorno cercava un altro lavoro per vivere un po’ meglio, ogni giorno la stessa delusione cattiva. Da solo non riusciva a trovarlo questo benedetto lavoro, così si è rivolto agli amici. La disperazione fa così, ci si fida delle persone sbagliate. Non mi sono mai piaciuti quegli uomini ma lui non mi dava retta. Invece del lavoro gli hanno procurato la droga. Per loro era solo un pollo da spennare. Non è più riuscito a smettere. E’ diventato brutale e violento. Ha cominciato a picchiarmi spesso, soprattutto per strapparmi quei pochi soldi che riesco a portare a casa di nascosto, con piccoli lavori. Vivevamo con suo fratello che non mi ha mai lasciato lavorare. Ho un figlio di due anni, per lui ho resistito finché ho potuto. Poi mi sono fatta coraggio, ho detto a mio cognato che volevo divorziare. Non ha nemmeno risposto mi ha solo picchiato con più furia del solito. Così sono scappata. Vivo adesso a casa di mio padre che non è in condizioni di mantenermi. Vorrei avere il divorzio, vorrei che mio cognato, se tornassi a casa, mi desse il permesso di lavorare, per mantenerci e per poter curare mio marito. Non so davvero cosa potrà succedere nel mio futuro…

PROGETTO PER SHAFEYA (sostegno mensile) Shafeya si è rivolta al Centro Legale di Herat. Hawca ha discusso molto con il cognato di Shafeya per convincerlo a lasciarla lavorare. Ma non c’è stato niente da fare, la famiglia non ha accettato. Ha parlato anche con il marito. Ma non ha nessuna intenzione di smettere con la droga e con la violenza, tantomeno di farsi curare. Così stanno cercando di ottenere il divorzio per lei. Ha bisogno di sostegno per avviare un’attività che le permetta di vivere con il figlio a casa di suo padre e magari di poter curare il marito. Shafeya non ha rinunciato a strapparlo alla dipendenza dalla droga.

CRONACHE DA KABUL: storia di ordinaria follia.
La vita e il lavoro delle persone che cercano di arginare l’emergenza dei più deboli e di preparare un futuro diverso per il loro paese, è difficile e piena di ostacoli. Il Governo afghano decisamente non collabora. Anzi. Lo abbiamo raccontato. La Corte Suprema ha criminalizzato la fuga delle donne dall’inferno delle loro case, il Governo e i media afghani hanno attaccato le ‘case protette’ e chi ci lavora, cercando di prenderne il controllo. Pochi giorni fa, se la sono presa anche con gli orfanotrofi. Il 20 settembre, un drappello armato, con alla testa la parlamentare Razia Sadat Mangal e altri due colleghi, hanno fatto irruzione nel nuovo Centro Scolastico di Afceco, (Ong afghana che gestisce, in modo impeccabile, orfanotrofi in tutto il paese) terrorizzando il personale, formato da giovani donne. Con il supporto dei fucili spianati hanno dichiarato di voler smascherare “un bordello frequentato da occidentali” o “una missione attiva nella conversione al Cristianesimo”, magari entrambe, chissà. Questo perché la parlamentare, che abita nelle vicinanze, aveva notato “occidentali sospetti che vanno e vengono”. “Gli unici “criminali occidentali” che frequentano il nostro centro” dice Andeisha Farid, direttrice di Afceco,” sono in realtà i pochi volontari che insegnano la lingua inglese, giornalisti e rappresentanti di USAID, dell’ong Asia Foundation e alcuni funzionari delle Ambasciate statunitense e britannica.” Hanno perquisito accuratamente: cercavano armi, prostitute, bibbie e chissà cos’altro. Hanno trovato computer, libri, quaderni, strumenti musicali. Gridavano insulti e domande: “ Perché insegnate la musica ai bambini?” “Perché spendete per loro tanti soldi?”. Non contenti, hanno ripetuto l’operazione all’orfanotrofio femminile, Mehan, di Kabul, interrogando con brutalità, fino alle lacrime, le bambine ospitate. Hanno minacciato la presidente di Afceco di convocarla in Parlamento a dar conto delle sospette attività dei suoi orfani. Per lei, non è la prima intimidazione: un anno fa la sua casa era stata sconvolta da un’irruzione armata, in cui l’anziano padre e il fratello erano stati arrestati e poi rilasciati. Gli orfanotrofi di Afceco sono uno dei pochi luoghi in Afghanistan, dove i bambini, traumatizzati dalla guerra, possono crescere in pace e in sicurezza, nell’affetto di insegnanti e amici e prepararsi per un futuro migliore. Dove imparano la tolleranza reciproca e l’eguaglianza tra uomini e donne. Dove studiano inglese, informatica, pronto soccorso, educazione alla pace, teatro, musica, arte. Hanno perfino una squadra di calcio femminile che si è fatta onore nell’ultimo campionato. L’organizzazione è sostenuta da molti donatori internazionali, tra i quali USAID, Asia Foundation, Afghan Women’s Misson, e italiani, istituzionali e privati. Come mai, con tanti problemi insoluti del paese, membri del Parlamento occupano il loro tempo ad aggredire gli orfanotrofi? Questi, in particolare. Forse per acquisire consensi presso il Governo, o per controllare fondi che non possono gestire o forse per contrastare un cammino che fatica a farsi strada:” Siamo convinti che la prima battaglia sociale da portare avanti in Afghanistan” dice Andeisha “sia quella di far accettare l’idea che ragazze e bambine abbiano diritto a istruirsi come i maschi, e che sia consentito loro di imparare qualcosa di universale come la musica o suonare un pianoforte.” Questo episodio ha suscitato l’indignazione di molti, anche dell’europarlamentare del PD Delia Murer che è intervenuta presso l’Ambasciata di Kabul e il nostro Governo perché indaghi su quanto accaduto.
4 ottobre 2011

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