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QUI LE DONNE MALTRATTATE TORNANO A VIVERE

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Quando Amina è arrivata alla Casa di protezione per donne maltrattate di Kabul aveva solo 13 anni, ma il volto segnato e lo sguardo vuoto di una donna che aveva già vissuto molto. I ricordi sono talmente dolorosi che Amina è quasi piegato in due mentre li ripercorre.

A 7 anni il padre l’ha data in sposta a un cinquantenne per una cospicua somma di denaro. L’uomo iniziò subito a picchiarla e violentarla. La bambina, piccola e fragile, tentò di tornare tante volte dai genitori, ma il padre la rimandava indietro ogni volta. “Mi accusava di portare vergogna nella famiglia” racconta. Il marito, sempre più cattivo, arrivò persino a farla violentare da altri uomini.

Ferita nel corpo e con l’anima spezzata, Amina pensò di immolarsi, uno dei rimedi a cui spesso ricorrono le donne afghane per sottrarsi alla violenza. Ma la paura di sopravvivere al fuoco rimanendo per di più deturpata, come era accaduto alla sua vicina, la dissuase. Così scappò di casa, ma il reato le costò due anni di prigione: “Una volta libera, sono stata accolta nello shelter dove ho potuto finalmente tornare a vivere”.

Un nido caldo per ricominciare

Gli shelter, i rifugi per donne maltrattate, svolgono un’attività preziosa in un Paese come l’Afghanistan, dove l’87% delle donne ha subito violenza, il 60% dei matrimoni è imposto e nel 57% dei casi riguarda ragazze sotto i 16 anni. Ce ne sono 14 in tutto il Paese. La casa protetta di Kabul, aperta dall’organizzazione non governativa HAWCA, con la collaborazione del CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane), è circondata da un alto muro di cinta ed è sorvegliata da due uomini. La villetta è a due piani e molto ampia, con un piccolo giardino. Al piano terra ci sono la sala comune, la cucina e altri spazi per le attività ricreative. Le donne ospitate sono una trentina, alcune molto giovani. C’è anche qualche bambino. Le loro storie sono molto simili. Vite segnate dal terrore, dall’abbrutimento, dalla ferocia cieca che in queste case calde e accoglienti aspirano a un riscatto.

Ora, però, gli shelter rischiano di scomparire o quantomeno di essere snaturati in seguito a una legge promossa dal Consiglio dei ministri lo scorso gennaio e che dovrebbe entrare in vigore nell’arco di pochi mesi, che stabilisce che la loro gestione dovrà passare dalla ONG afghane a quella del ministro degli Affari femminili (MoWA). Questo significa che i rifugi saranno sotto il diretto controllo del governo che, in questi ultimi anni, si è contraddistinto per aver promulgato leggi in palese violazione dei diritti umani, e che considera le case protette luoghi di prostituzione. “Per molte donne vittime di violenze gli shelter sono l’unica possibilità di salvezza. Non possiamo permettere che diventino prigioni e luoghi di ulteriori soprusi per chi cerca aiuto” dice Selay Ghaffar, direttrice di HAWCA.

Il grido di allarme delle organizzazioni afghane è stato raccolto dalla comunità internazionale che si è subito mobilitata. In Italia, le parlamentari Silvana Amati e Delia Muhrer del PD hanno presentato due interpellanze parlamentari in cui chiedono al governo di promuovere azioni per il ritiro del decreto. E il 21 febbraio scorso, a New York, si è svolta una riunione convocata dalla Commissione indipendente afghana per i diritti umani a cui hanno partecipato anche rappresentanti dell’ONU. I membri del governo afghano hanno fatto promesse. “Ma noi” dice Cristina Cattafesta del CISDA “aspettiamo che il governo dica e faccia qualcosa di ufficiale e dimostri che quelle di New York non sono solo chiacchiere. In caso contrario, siamo pronte a fare ripartire la denuncia”.

Da “Tu style”, 3 maggio 2011

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