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DONNE IN OSTAGGIO

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di Simona Cataldi da Left

Costrette a stare in casa e a rimanere col marito anche se le maltratta. In Afghanistan i diritti appartengono a un sesso solo, e le trattative tra Karzai e talebani non fanno che peggiorare la condizione femminile
Dieci anni fa, quando gli Stati Uniti e i loro alleati sono arrivati a Kabul, il popolo afgano era pieno di speranza: finalmente dopo trent’anni di guerra e di oscurantismo giungeva la pace. Ma quel sogno si è infranto subito, con la salita al potere dei signori della guerra: i jhadisti dell’Alleanza del Nord. Tutti – donne, uomini, perfino i bambini – erano coscienti che mai avrebbero potuto raggiungere gli obiettivi promessi dalla comuni- tà internazionale con coloro che più di ogni altro hanno violato i diritti delle donne». La testimonianza di Samia Wahlid, esponente dell’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan (Rawa), non lascia dubbi: il suo Paese è ancora in cerca di libertà.
Rawa è un’organizzazione indipendente nata a Kabul nel 1977. Due anni dopo, in seguito all’occupazione sovietica, partecipa ai movimenti di Resistenza e di lotta per l’indipendenza e si schiera a favore di quelle istanze democratica, secolariste e antifon damentaliste, che ancora oggi porta avanti nell’ombra della clandestinità. «Quest’anno» ci racconta Samia, «non abbiamo potuto celebrare la Giornata internazionale della donna». L’otto marzo è sempre stata un’occasione per tutte le militanti di Rawa, circa 5.000 donne, di riabbracciarsi e farsi coraggio, andare avanti nonostante le persecuzioni e i controlli sempre più pressanti dei servizi segreti afgani. «Negli ultimi 10 anni gli Stati Uniti e la Nato hanno armato e appoggiato i più pericolosi gruppi reazionari nella consapevolezza che questi, e non il popolo afgano, sono gli unici in grado di proteggere i loro interessi nell’area. La situazione sta diventando sempre più difficile soprattutto da quando è stato avviato il processo di Riconciliazione nazionale che apre al dialogo con i cosiddetti talebani moderati, con i criminali del “Khalq” e “Parcham” (precursori dei mujaheddin, ndr) e con gli esponenti del partito di Gulbiddin Hekmatyar, alcuni dei quali tuttora inscritti nella stessa “Black list” del governo americano».

Le violenze nei confronti delle donne non sono cessate, la legge non garantisce stato di diritto. Il sistema di giustizia informale che prevede anche la lapidazione di una donna adultera sopravvive accanto a quello formale. Il governo Karzai, sostenuto dalla comunità internazionale per guidare il Paese verso la democrazia, non è rappresentativo della volontà popolare né si è impegnato realmente per la promozione e la difesa dei diritti delle donne. Nel luglio del 2006 ha reintrodotto il famigerato “Ministero per il vizio e virtù”, nel marzo 2009 ha approvato una legge, gradita dai gruppi di potere sciiti, secondo cui le donne non possono rifiutarsi di avere rapporti sessuali con il marito e non possono recarsi a lavoro, dal medico o a scuola senza il suo permesso.
Nel gennaio 2011, il Consiglio dei ministri afgano ha promosso un provvedimento, tuttora al vaglio, che prevede che le case rifugio per donne maltrattate non vengano più gestite dalle ong ma dal ministero degli Affari femminili (MoWA). Il Decreto fa seguito alla precedente Direttiva 1497/1054 della Corte suprema afghana – l’organismo legislativo più oscurantista del paese – che ha criminalizzato le donne maltrattate stabilendo che commette reato chi si allontana da casa per rifugiarsi nei centri di accoglienza gestiti dalle ong. «La condizione delle donne in Afghanistan non può essere imputata alla nostra cultura, né all’Islam» dice la giovane esponente dell’Associazione rivoluzionaria delle donne afghane, «La legge sciita contro le donne così come le aperture nei confronti dei talebani cosiddetti moderati sono funzionali al governo di Karzai che è diviso e instabile ma che si dimostra accondiscendente nei confronti degli interessi economici e politici di Stati Uniti e Nato. Le donne non sono che il capro espiatorio, le prime vittime dell’instabilità e della guerra nel Paese. Se i talebani tornassero nuovamente al potere, gli Stati Uniti non avrebbero difficoltà a collaborare con loro. Gli tornerebbe, infatti, più utile che in Afghanistan ci fosse una struttura legislativa fragile e volta alla repressione piuttosto che un governo indipendente, democratico e a favore dei diritti delle donne».
 
*ricercatrice di Cisda – Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, autrice di Il voto femminile in Afghanistan (Edup, Roma 2009)

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