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«Gli americani resteranno qui a lungo» – Parla Said Mahmud, portavoce del partito progressista Hambastagi

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di Milena Nebbia dal Giornale di Vicenza
13 8 gdv f1 142«Karzai va dicendo alle masse che i soldati sono indispensabili»
Said Mahmud è uscito di prigione da qualche giorno dietro il pagamento di una cauzione. Era stato arrestato dalla polizia afghana insieme ad altri giovani con l’accusa di aver imbrattato di rosso il ritratto di Mazari, signore della guerra hazara, il cui partito, Wahdat, Partito Islamico Unito, vanta numerosi rappresentanti in parlamento. Il procedimento è rimasto aperto, su di loro pesa l’accusa di alto tradimento della patria, che in Afghanistan prevede pene molto pesanti. Said Mahmud è il giovane (26 anni) portavoce di Hambastagi, unico partito laico e progressista ufficialmente riconosciuto dal governo Karzai.
«In realtà – spiega quando lo incontriamo nella sede del partito – a parte i poliziotti più alti in grado, le altre guardie e gli altri prigionieri ci hanno sostenuto ed incoraggiato affermando che avevano fatto bene. Ad ogni modo è probabile che questa sia stata soltanto la causa occasionale e che a dare fastidio al governo sia stata più che altro la manifestazione che abbiamo organizzato il mese scorso nelle vie di Kabul che ha visto la partecipazione di centinaia di manifestanti, soprattutto donne, che hanno sfilato con cartelli e manifesti che riportavano i volti insanguinati di perone comuni ferite e uccise durante gli attacchi, sia americani, sia talebani».
Il volantino distribuito dal partito Hambastagi durante il corteo in effetti faceva un durissimo attacco all’occupazione delle truppe dell’esercito americano…
È sempre più evidente che il ritiro dell’esercito entro il 2014 rappresenta una bugia perché ogni singolo afgano sa benissimo che gli Stati Uniti hanno piani a lungo termine nel nostro territorio. Il governo fantoccio di Karzai cerca di convincere le masse che la presenza delle forze straniere sia necessaria giustificando così gli accordi per nuove basi permanenti, ma in pratica legittimando la colonizzazione del paese.
Hambastagi, dalla sua nascita, nel 2004, è impegnato nella divulgazione di un programma di sviluppo economico, libertà e giustizia sociale. Un progetto mica da poco nel disgregato panorama del paese…
Sembra un’utopia, ma dobbiamo credere nella possibilità di un cambiamento, noi puntiamo al coinvolgimento delle persone in manifestazioni come quella del mese scorso per far capire che in Afghanistan la resistenza pacifica non è scomparsa.
Come mai Hambastagi non si è presentato all’ultima consultazione elettorale?
Finché durerà l’occupazione, finché al governo ci saranno i signori della guerra, finché non si avranno garanzie di voto trasparente, senza brogli e forzature, non ci presenteremo alle elezioni. È una scelta precisa. Molti degli eletti sono signori della guerra o soggetti legati ai loro clan, criminali dediti ai traffici di eroina, armi, persone. Mancano esponenti della parte democratica del Paese.
Voi potete contare su circa 30.000 aderenti in tutto il paese, come avviene il tesseramento, come potete convincere le persone, che vengono nelle stesso tempo allettate dalle proposte dei talebani che offrono lavoro e denaro in cambio del reclutamento?
Noi non possiamo e non vogliamo certo offrire denaro agli iscritti, semmai offriamo corsi di alfabetizzazione e di diritti umani, specie nelle province più remote, accettiamo in cambio quello che viene, offerte in denaro, un uovo, anche niente.
Qual è il ruolo delle donne nel vostro partito?
I rapporti uomo-donna nel partito sono regolati da una parità assoluta, per la donna non vogliamo ruoli simbolici: la vice rappresentante di Hambastagi è una donna, la direzione del partito, rinnovata nel 2009, conta tre donne e nelle cariche le donne occupano il 45% del totale.
Cosa ne pensa dei movimenti rivoluzionari del mondo arabo? Pensa che un movimento di popolo simile contro il regime possa svilupparsi anche in Afghanistan?
Noi condividiamo la lotta dei fratelli arabi contro la dittatura e vogliamo imparare da loro. Crediamo che anche qui sia possibile, ma ci vorrà più tempo perché in Afghanistan l’acculturamento delle persone è molto in ritardo e così pure la presa di coscienza dei propri diritti, la capacità di interpretare la realtà. Riusciamo ad avere più presa sui ragazzi, con gli adulti è più difficile».

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