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Afghanistan, frequenze di libertà

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Peacereporter  18 ottobre 2010

Un documentario racconta la lotta coraggiosa di una giornalista afgana per l’emancipazione delle sue connazionali
L’immagine di un Afghanistan inconsueto, dove per una volta non sono le bombe e la guerra i protagonisti, ma una donna e una radio indipendente che ha un compito importante: squarciare il silenzio dalle sue frequenze libere, cercando di abbattere alcuni tabù.

È la storia di Humaira, giovane giornalista di Radio Sahar (radio alba) che trasmette dalla città di Herat, raccontata nel documentario Girls on the air della regista Valentina Monti. Un lavoro che mostra la vita quotidiana della protagonista e racconta l’altra faccia delle donne che, nonostante le vite intrappolate nei burqa, silenziose, sottomesse e prive di diritti, iniziano pian piano a intraprendere alcune piccole battaglie civili, minuscoli passi verso una prospettiva di normalità. Radio Sahar è stata fondata nel 2003 da Humaira Habib, ventisei anni, nata sotto la guerra ed emigrata in Pakistan con la famiglia quando ne aveva dieci. Dopo il diploma è tornata ad Herat mentre i talebani erano al potere, ha studiato giornalismo con il sogno di esprimere la sua opinione di donna “dire la verità in un Paese dove la verità è sempre stata repressa” come dice nel film Radio Sahar è una stazione locale gestita da donne, non fa parte né di partiti politici né di organizzazioni. Vogliamo cambiare la vita dei nostri ascoltatori”.

 

Non è presunzione la sua a giudicare dal lavoro che fa insieme alle colleghe attraverso un mezzo efficace come la radio, capace di entrare nelle case e nelle famiglie, e con un ricco palinsesto in cui si alternano notizie, doppiaggi di film stranieri, radiodrammi in cui si tratta il tema della violenza, letture di poesie, interviste e servizi su donne che si rivolgono al tribunale per chiedere il divorzio da uomini tossicodipendenti che le picchiano o che hanno già promesso in spose le loro bambine. C’è chi parla di diritti e di leggi per tutelare le donne, chi ha deciso dolorosamente di lasciare casa e figli pur di sfuggire ad un uomo violento, in un paese dove il numero dei divorzi sta aumentando. Una piccola rivoluzione che si diffonde nell’etere dalle frequenze degli 88.7 fm. Nel documentario le immagini che mostrano Humaira in conduzione o insieme alla redazione vanno di pari passo a quelle che scorrono in un mercato, un laboratorio tessile, un villaggio isolato, tutti i luoghi in cui arrivano le onde di Radio Sahar.

“La radio è il miglior mezzo di comunicazione nei paesi che soffrono economicamente e dove la maggior parte delle persone non hanno accesso alla televisione. Quando si ascolta Radio Sahar l’istruzione non c’entra. Tutti possono capire le nostre parole”, dice Humaira. Le inviate incontrano e parlano con molte donne, anche quelle che vivono lontano dalla città, in un piccolo e sperduto villaggio, e che dai microfoni denunciano la mancanza di una scuola in un’area in cui i bambini sono analfabeti e dove solo il mullah provvede alla loro istruzione. Le studentesse della facoltà di giornalismo di Herat manifestano la loro preoccupazione perché dopo anni di studio si vedranno negato il diritto a lavorare. In redazione si discute anche di politica “democrazia è una parola straniera” dice Humaira, frase che suona amaramente ironica.

Il film si chiude con un breve diario dal Canada con alcune foto ricordo della giovane giornalista andata nel paese a studiare grazie ad una borsa di studio per otto mesi. Quando a Humaira chiedono se vuole tornare in Afghanistan non ha dubbi: “certo, amo il mio Paese, voglio viverci per sempre. Un periodo fuori è un privilegio, ma dobbiamo ricostruire e lavorare per il nostro Paese”.
Il documentario, prodotto da Fourlab e che ha partecipato a diversi festival in Italia e in Europa, è stato presentato nei giorni scorsi al Terra di tutti film festival a Bologna e al Doc/it Professional Award di Reggio Emilia.

Linda Chiaramonte

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