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Viaggio in Afghanistan: Solidarietà – Il progetto «una capra per una vedova»

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Storie di vedove, di warlord e di una giustizia elusiva

Il Manifesto – 10 novembre 2012

A cura di CISDA – Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane

Anche le capre possono dire qualcosa sulle difficoltà che attraversa l’Afghanistan. «Una capra per una vedova» è il progetto sostenuto per il secondo anno consecutivo dall’associazione Insieme si può di Belluno (www.365giorni.org). Come dice il titolo, lo scopo è regalare una capra alle donne rimaste vedove per aiutarle a mantenere sé e la propria famiglia: invece che denaro un bene concreto. In settembre dunque siamo andate a Kabul, una piccola delegazione di italiane, per acquistare le capre e consegnarle.

La prima consegna di 10 capre è avvenuta nel villaggio di Said Khel,nella provincia di Parwan a nord di Kabul. All’ingresso del paese siamo accolte da un portale a lutto: sia per l’anniversario della morte di Ahmad Shah Massud, leader tajiko ucciso nel settembre 2001, sia per Said Khel, suo seguace e signore che governava il paese, morto l’anno scorso a Kunduz (la reggenza è passata al fratello). I fratelli Khel sono terribili: si sono appropriati delle case e delle proprietà di molti abitanti, hanno preso e violentato ragazze, accumulato ricchezze. Le vedove che ci attendevano scelgono la loro capra, ma l’incontro è breve: non possiamo restare a lungo perché la presenza di straniere darebbe nell’occhio, con il rischio di spiacevoli incontri.

 

La seconda consegna avviene invece in Kabul, nel cortile di una casa dove sono riunite 14 donne provenienti dall’area di Chaar-Di e dai villaggi di Se-Banghi e Lashkabardi. Negli anni ’90 quelle zone sono state teatro della guerra tra popolazioni hazara e pashtun; ora tra hazara e panshiri. Alcune donne sono vedove e altre con mariti senza lavoro o invalidi. Cuciono a casa vestiti per poi venderli al mercato. Tutte vestono il burqa poiché affermano di essere state riprese più volte. Ricevono qualche piccolo aiuto dal governo sotto forma di sacchi di grano ma lamentano il grande problema della sicurezza e della mancanza di casa. Inoltre sono terrorizzate dal possibile ritorno dei Taleban o altri gruppi fondamentalisti e appoggiano la presenza degli Usa perché nelle zone da loro abitate non sono mai avvenuti bombardamenti.

La terza consegna di 11 capre avviene nella periferia est di Kabul, zona abitata da molti anni da persone provenienti dalla provincia meridionale di Helmand, alle vedove o parenti delle vittime del Saajs (il Comitato dei familiari delle vittime richiedenti giustizia). L’incontro avviene dentro la casa di una famiglia, nel cortile interno, passando davanti a un piccolo negozio con alcuni uomini che non approvano il nostro operato. Le donne invece sono molto contente e ci tengono a raccontare le loro tristi vite. Una vedova ci racconta che suo figlio, sposatosi molto giovane, perse una gamba durante la guerra civile del ’92-’96, e poco dopo sparì. È lei che ha dovuto provvedere alla nuora e ai nipoti.

La consegna delle ultime 12 capre, che doveva avvenire nel nostro ultimo giorno in Afghanistan, ha subìto una leggera modifica: quel giorno era in corso una grande manifestazione contro il film su Maometto che ha mosso tutto il mondo musulmano, i dimostranti erano lungo la Jalalabad Road – l’arteria che entra in città da est – e si sarebbe spostata verso il centro. Così abbiamo assegnato le capre in parte a donne provenienti dal villaggio di Arghandai, il resto alle vedove che lavorano negli orfanatrofi di Afceco (vedi in questa pagina), che a loro volta le daranno ai parenti che vivono nei villaggi delle diverse provincie.

Cisda- Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane

 

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