Oltre 1200 Talebani uccisi dagli Italiani
Articolo de L’Espresso
di Gianluca Di Feo
06 luglio 2010
E si tratta solo di una stima per difetto, potrebbero essere molti di più. La maggioranza delle vittime è stata fatta dai parà della Folgore. Iniziata con un piccolo contingente a Khost, la nostra missione è gradualmente cresciuta: a settembre i soldati tricolori saranno in 40
È il dato più segreto della seconda repubblica: quanti sono gli ‘insurgents’ uccisi dai soldati italiani nel corso della missione di pace in Afghanistan? Nonostante gli eufemismi, una prima stima mostra un vero bilancio di guerra: tra i 1.200 e i 1.500 talebani ammazzati.
Il numero – attribuito a fonti “ufficiosissime” – è stato fornito dal direttore di ‘Rid’ (Rivista Italiana Difesa) Andrea Nativi, uno dei più autorevoli e informati analisti militari, autore tra l’altro del dossier sulle forze armate della Fondazione Icsa, che ha come presidente onorario Francesco Cossiga e come presidente l’ex sottosegretario e parlamentare Pd Marco Minniti.
Il calcolo delle vittime riguarda tutti i sette anni della presenza tricolore in Afghanistan, cominciata nel 2003 con l’invio di un piccolo contingente a Khost, nella zona sul confine pachistano, e potenziata dal 2005 con lo schieramento di una forza sempre più grande nella regione sud-occidentale e a Kabul. Mentre fino al 2007 le truppe impegnate in combattimento erano pochissime – circa 150 uomini più un nucleo di commandos della Task Force 45 – dal 2008 c’è stata un’escalation: attualmente ci sono tre “raggruppamenti da battaglia” che impegnano quasi 1500 alpini e bersaglieri in azioni di fuoco contro i talebani.
Gli scontri avvengono quasi tutti i giorni, con utilizzo di mortai pesanti da 120 millimetri per proteggere le basi avanzate, soprattutto nella zona caldissima di Bala Murghab e in quella di Shindad. Frequenti sono anche gli interventi degli elicotteri Mangusta armati con cannoncini da 20 millimetri a tiro rapido e missili aria-terra.
Gran parte di quei caduti nelle file degli insorti sarebbero però stati inflitti dalla Folgore durante la lunga campagna estiva dello scorso anno. Dalla fine di maggio 2009 i paracadutisti hanno reso molto più incisiva la presenza occidentale nei punti chiavi della regione affidata agli italiani. I combattimenti sono stati intensi in tutta la fascia sul confine della regione di Kandahar, la patria dei talebani, per intercettare i guerriglieri islamici che tentavano di fuggire all’accerchiamento anglo-americano. Diverse operazioni sono state lanciate poi dalla Folgore per riprendere il controllo della zona sulla frontiera turkmena da cui transitano i carichi di oppio e i rifornimenti di armi gestiti dai fondamentalisti.
Inoltre dal maggio 2009 è caduta ogni differenza tra forze italiane e statunitensi: il comando di tutta la Nato è passato a un generale americano e i reparti dei due paesi hanno cominciato a combattere fianco a fianco, spesso chiedendo l’intervento dei bombardieri dell’Us Air Force per spianare i nuclei di resistenza. Una stagione di scontri sempre più intensi, segnata dal grande attentato di Kabul in cui hanno perso la vita sei parà e da una serie di attacchi con l’uso di kamikaze contro le nostre pattuglie.
In inverno la missione è stata affidata ai fanti della Brigata Sassari che, anche a causa delle nevicate e della difficoltà di movimento, hanno dovuto ridurre il numero di incursioni, respingendo contrattacchi su larga scala dei talebani, come quello avvenuto alla fine dell’anno intorno Bala Murghab. Adesso è la volta degli alpini della Taurinense, uno dei reparti più addestrati ed esperti nelle spedizioni internazionali, che hanno ripreso le azioni in tutto il territorio.
Entro fine settembre i militari italiani saranno oltre 4000, concentrati nella regione occidentale, con altri mezzi corazzati come le autoblindo pesanti Freccia. Ai tre “battle group” che conducono rastrellamenti si aggiungono poi i nuclei meccanizzati, anche con cingolati Dardo, che istruiscono e accompagnano al fronte l’esercito nazionale afghano. Da circa un mese nella zona di Bala Murghab sono ripresi i combattimenti e anche in questi giorni l’area è considerata calda.
Nessun osservatore, nemmeno la propaganda talebana, ha mai accusato gli italiani di sparatorie dirette o “collaterali” contro civili. Le 1200-1500 vittime provocate dai nostri soldati sarebbero quindi tutti miliziani. Spesso i corpi dei caduti vengono perquisiti e fotografati per ottenere informazioni utili sulla loro nazionalità e cercare di capire quanti guerriglieri stranieri siano ancora al fianco dei talebani di nazionalità afghana o pakistana. Ma tutte le notizie sono custodite dai vertici militari e dal governo nel segreto più assoluto: non c’è mai stata una comunicazione al parlamento.
L’altro segreto della “missione di pace” riguarda i prigionieri. Quanti sono stati? A chi li consegniamo? Ne abbiamo catturati molti e quasi sempre sono finiti nelle mani dei rappresentanti del governo di Kabul. Tutte le truppe della Nato infatti hanno formalmente il compito di assistere le autorità locali e per questo assieme ai soldati italiani c’è sempre almeno un ufficiale afghano. Diverse fonti attendibili sostengono però che in più di un’occasione i guerriglieri che si sono arresi a parà e fanti sono stati consegnati ai marines, per il tempo necessario a interrogarli o definitivamente. Anche in questo caso, non esistono versioni ufficiali: abbiamo migliaia di militari in Afghanistan ma non hanno mai catturato dei prigionieri. Uno dei tanti paradossi della “missione di pace” che avrebbe fatto oltre 1200 morti.
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