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Né talebani, né Usa – La resistenza dei democratici afghani – Il dossier

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di Cristiana Cella
L’Unita – 23  SETTEMBRE

In un Paese che vuole essere considerato democratico agli occhi del mondo, chi si batte per la democrazia è costretto alla clandestinità o quasi. Nel silenzio dei media occidentali, continuano a testimoniare ogni giorno che in Afghanistan non c’è solo fanatismo, violenza e disperazione. C’è una resistenza attiva che ha attraversato 30 anni di tragedie continuando a lottare, ognuno con i propri mezzi, senza illudersi.

Sono organizzazioni della società civile, associazioni di donne, Ong , che cercano di rimediare al disastro umanitario del paese, singoli cittadini di tutte le etnie e strati sociali, e un partito. Vogliono una democrazia laica che rispetti i diritti umani, soprattutto delle donne, che garantisca ai cittadini sicurezza, salute, istruzione, giustizia. Chiedono che i criminali di guerra e i boss della droga siano cacciati dal Parlamento, insieme a talebani e integralisti islamici, che i corrotti siano puniti.

Che le truppe straniere smettano di uccidere la popolazione inerme e di sostenere e finanziare il governo più corrotto al mondo. Che si garantisca la trasparenza delle elezioni e la possibilità di votare a tutti i cittadini. Per queste idee, condivise da gran parte della popolazione, in Afghanistan si può rischiare molto, anche la vita. Andeisha Farid è presidente di Afceco, una Ong che gestisce orfanotrofi, da anni, in Pakistan e Afghanistan, sostenuti da donatori di tutto il mondo.

«Ogni atto della mia vita è una battaglia contro i talebani. Ogni bambino, strappato alla guerra e al fanatismo, che fiorisce nella pace e nella tolleranza, è una vittoria contro di loro e contro tutti i fondamentalisti». Eppure in una quieta notte di agosto la casa della sua famiglia è stata sconvolta. Alle due di notte un commando di 30 uomini, armati fino ai denti, poliziotti afghani e soldati stranieri, sfondano la porta, distruggono l’appartamento, rubano le poche cose di valore, costringono l’anziana madre e la sorella a terra, con i fucili puntati, e si portano via il padre di 70 anni e il fratello di 15, con un cappuccio nero in testa.

 

Li rilasciano, dopo due giorni, senza nessuna spiegazione. «È questo il modo di garantire la sicurezza? Siamo fortunati, ad altri è andata peggio. Ma siamo stanchi di vivere nella paura, presi tra due fuochi. La violenza dei talebani e quella del governo e dei suoi alleati». Qualche giorno prima uno slogan chiarissimo era gridato per le strade di Kabul: «Non vogliamo né gli americani né i talebani». Una manifestazione pacifica reggeva cartelli con le foto di corpi di bambini, donne e uomini, devastati dai bombardamenti Usa e Nato, dagli attentati talebani. E la rabbia, in questi giorni, continua a crescere. La manifestazione, come altre in questi mesi, è stata organizzata da Hezb-e-Hambastagi, il Partito della Solidarietà. Trentamila iscritti, né finanziatori, né padroni. «Il nostro progetto è quello di riunire tutti i democratici, indipendenti e onesti, in una sola coalizione. Ci vorrà del tempo ma il nostro popolo ha bisogno di un punto di riferimento», dice Rahimi, il vicepresidente. Il partito è stato fondato nel 2003 dal dottor Mateen che, come Rahimi, aveva combattuto i russi e l’integralismo islamico, negli anni ’80. In migliaia sono stati uccisi o dall’uno o dall’altro.

«Anche oggi abbiamo più di un nemico: i talebani, il governo e l’occupazione degli Stati Uniti e dei loro alleati. Dopo nove anni, nessuno crede più che siano qui per ricostruire il Paese». Alle elezioni del 2005, 7 di loro sono stati eletti, in maggioranza donne. Ma in un Parlamento dominato dai fondamentalisti, dal narcotraffico e dall’ intimidazione, è impossibile far sentire la propria voce. Alle elezioni di sabatos corso non si sono presentati. Per protesta contro un voto che non ha nessuna legittimità. Le voci della società civile sono tutte d’accordo, Le elezioni sono una farsa che ha già registrato molti omicidi. I brogli che hanno portato alla presidenza Karzai sono ben noti.

Questa volta sarà ancora più facile. Il Presidente, con un emendamento alla legge, ha ottenuto di nominare lui stesso tutti e cinque i membri della Commissione di Controllo Elettorale (Ecc) (alle passate elezioni tre erano eletti dall’Onu). «Farà quello che vuole. Qui non conta chi ha votato ma chi, adesso, conta i voti. I risultati sono già decisi» dice Hafiz, giornalista di Jalalabad. «Non c’è alcuna libertà di informazione, i voti si ottengono con i dollari o col kalashnikov, le schede false circolano liberamente.

La corruzione è legge. Nessuno può garantire la sicurezza. La paura di attentati e ritorsioni non risparmia nessuno. Soprattutto le donne. Le candidate sono state minacciate, rapite, costrette a ritirarsi. La condizione delle donne è sempre più disastrosa, come potrebbero votare liberamente quando non possono nemmeno uscire di casa?». Mahud fa parte del Gruppo di Coordinamento per la Giustizia Transizionale, una coalizione di 25 associazioni della società civile che si batte da anni contro l’impunità dei criminali di guerra.

«Una buona parte dei nostri parlamentari dovrebbe rispondere a un tribunale internazionale sui delitti commessi negli anni della guerra civile. Nelle loro province continuano a governare con la violenza, senza alcun rispetto dei diritti umani. Karzai, invece, ha garantito ai warlords l’amnistia, con la Legge di Riconciliazione Nazionale, fatta passare quasi in segreto. Nessuno gli ha impedito di ripresentarsi e saranno sempre loro a essere eletti con qualche talebano in più, dopo la pacificazione con gli insorgenti, decisa alla Conferenza di Kabul.

Raccogliamo ogni giorno consensi tra la gente ma, per raggiungere il nostro scopo, ci vorrà molto tempo». Pazienza e coraggio sono tra le poche cose che in Afghanistan non mancano. Rawa, l’Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afgane, si batte per i diritti delle donne, contro il fondamentalismo, dal 1977. «Come si può pensare a elezioni democratiche in un Paese sconvolto dalla guerra, in mano a delinquenti armati, che è diventato il centro internazionale del traffico di droga? La truffa delle elezioni serve a Karzai per liberarsi dei suoi avversari e controllare meglio il Parlamento e agli Usa per il loro show democratico.

Se anche qualche brava persona riuscirà a essere eletta non avrà alcun potere». Dice Mehmooda, militante dell’organizzazione, la più minacciata per le sue posizioni radicali: «Le truppe della coalizione devono ritirarsi. Il disastro in cui ci troviamo è provocato dai talebani, dalla guerra e dall’occupazione, dal governo dei fondamentalisti. Tutte parti di uno stesso gioco. La maggioranza dei talebani si vende al miglior offerente. Sono pedine degli Stati confinanti in funzione antiamericana. Ma anche con gli americani fanno accordi. Giustificano l’occupazione e servono a Karzai per bilanciare lo strapotere dei warlords. Il suo governo sta in piedi solo col sostegno degli Usa che continua a riempire le loro tasche di dollari e il Paese di morti innocenti. Se le truppe si ritirassero, non sarebbe un paradiso, ma questi fantocci crollerebbero, sarebbe più facile sbarazzarsene. E finirebbe l’incubo dei bombardamenti».

rondine blu@libero.it

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