La sinistra afgana contro l’occupazione
Peacereporter – 9 marzo
Intervista al portavoce del partito laico e progressista Hambastagi (Solidarietà), che domenica ha portato in piazza a Kabul centinaia di persone per manifestare contro Usa e Nato.
Domenica si è svolta nel centro di Kabul una grande manifestazione (video) in risposta al massacro di nove bambini, avvenuto il 1° marzo in un raid aereo Usa nella provincia di Kunar. Centinaia di manifestanti hanno sfilato al grido di “Fuori gli americani! Fuori i talebani!” con cartelli e manifesti che mostravano i volti insanguinati di civili feriti e uccisa negli attacchi Nato.
A organizzare la protesta sono stati gli attivisti di Hambastagi (Solidarietà), partito politico afgano di sinistra, laico e progressista fondato da esponenti ex-maoisti nel 2004 ma in rapida ascesa di popolarità, soprattutto tra le donne (tra le sue sostenitrici figurano Malalai Joya e Habiba Sorabi).
Il volantino distribuito da Hambastagi durante il corteo è un durissimo atto d’accusa contro l’occupazione straniera e contro la volontà americana di stabilire basi permanenti in Afghanistan:
È sempre più evidente che il ritiro delle forze Nato entro il 2014 rappresenta una bugia – si afferma – perché ogni singolo afgano sa benissimo che gli Stati Uniti hanno piani di permanenza a lungo termine nel nostro territorio. Il governo fantoccio di Karzai cerca di convincere le masse che la presenza delle forze straniere sia necessaria giustificando così gli accordi per nuove basi permanenti, ma in pratica legittimando la colonizzazione del paese. Le 737 basi militari Usa in 130 paesi del mondo – prosegue il testo del partito afgano della Solidarietà – non hanno portato prosperità o felicità da nessuna parte, incluso l’Afghanistan. Per noi quella statunitense si sta rivelando un’occupazione peggiore, più atroce, di quella dell’Unione Sovietica”.
Said Mahmoud (foto) è il giovane portavoce di Hambastagi.
Il principi fondamentali del vostro partito sono libertà, giustizia sociale e sviluppo economico: un programma non da poco nel disgregato panorama politico del paese…
“Sembra un’utopia, ma dobbiamo credere nella possibilità di un cambiamento. Noi puntiamo al coinvolgimento delle persone in manifestazioni come quella odierna per far capire che in Afghanistan la resistenza pacifica non è scomparsa. Oggi sono presenti molti familiari delle vittime degli attacchi da parte delle truppe Nato e dei Talebani che non colpiscono obiettivi militari, ma la povera gente, i bambini. La gente è stanca, non ne può più”.
Come mai Hambastagi non si è presentato all’ultima consultazione elettorale?
“Finché durerà l’occupazione, finché al governo ci saranno i signori della guerra, finché non si avranno garanzie di voto trasparente, senza brogli e forzature, non ci presenteremo alle elezioni. E’ una scelta precisa. Molti degli eletti in parlamento sono signori della guerra o soggetti legati ai loro clan, criminali dediti ai traffici di eroina, armi, persone. Mancano esponenti della parte democratica del paese, non ci sono rappresentanti di quella società che può rispondere a richieste dei diritti individuali e collettivi delle persone perché a causa dei brogli a molti di loro è stata impedita l’elezione”.
Voi potete contare su circa 30mila aderenti in tutto il paese: come avviene il tesseramento, come potete convincere le persone, che vengono nelle stesso tempo allettate dalle proposte dei Talebani che offrono lavoro e denaro in cambio del reclutamento?
“Noi non possiamo e non vogliamo certo offrire denaro agli iscritti, semmai offriamo corsi di alfabetizzazione e di diritti umani, specie nelle province più remote, accettiamo in cambio quello che viene, offerte in denaro, un uovo, anche niente. Abbiamo alcuni sponsor, anche stranieri, il nostro obiettivo sarebbe quello di creare una specie di network di organismi democratici nel mondo”.
Qual è il ruolo delle donne nel vostro partito?
I rapporti uomo-donna nel partito sono regolati da una parità assoluta. Per le donne non vogliamo ruoli simbolici: la vice rappresentante di Hambastagi è una donna, la direzione del partito, rinnovata nel 2009, conta tre donne e nelle cariche le donne occupano il 45 per cento del totale. E’ chiaro che gli scambi gestuali tra uomini e donne si limitano ad una stretta di mano perché abbiamo usi diversi rispetto ai vostri, ma non escluderei che le nostre attiviste siano più soddisfatte di quelle occidentali”
Com’è iniziata la sua militanza nel Partito della Solidarietà? È conscio di mettere continuamente a rischio la sua vita attraverso la sua attività?
“Ho iniziato all’Università: facevo parte dell’Unione degli studenti e ho letto del materiale del partito che era nato da poco: mi sono piaciute la matrice secolare, il coinvolgimento del popolo. Certo, so di rischiare, tutti i giorni arrivano mail e telefonate di minaccia nella sede del partito, rischio anche qui oggi, ma tutti gli afghani rischiano la vita ogni giorno, anche solo camminando per la strada”.
Cosa ne pensa dei movimenti rivoluzionari in molti paesi arabi? Pensa che un movimento di popolo simile contro il regime possa svilupparsi anche in Afghanistan?
“Noi condividiamo la lotta dei fratelli arabi contro la dittatura e vogliamo imparare da loro. Crediamo che anche qui sia possibile, ma ci vorrà sicuramente più tempo perché in Afghanistan l’acculturamento delle persone è molto in ritardo e così pure la presa di coscienza dei propri diritti, la capacità di interpretare la realtà. Sicuramente riusciamo ad avere più presa sui ragazzi, con gli adulti è più difficile: non è semplice mutare la mentalità di persone cresciute sotto regimi oppressivi, tra una guerra civile e un’occupazione militare”.
Milena Nebbia
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