La pace difficile di Rabbani
Giuliana Sgrena – Il Manifesto I taleban puntano sempre più in alto: l’assassinio di Burhanuddin Rabbani lo dimostra. Si tratta senza dubbio della vittima più «eccellente» dalla loro caduta nel 2001. Con un’escalation di violenza, iniziata da qualche settimana nel cuore di Kabul, hanno dimostrato il fallimento della strategia americana. Che puntava su un accordo con i taleban “buoni”, prima del ritiro previsto entro la fine del 2014. L’errore di analisi della situazione sta anche alla base della facilità con cui un kamikaze è potuto arrivare dentro la casa di Rabbani, dove si doveva tenere una riunione, con il solo pretesto di consegnare un messaggio dei taleban. La casa di Rabbani si trova nel quartiere di Wazir Akbar Khan, una sorta di “zona verde” di Kabul, dove si trovano il comando Nato e le ambasciate, compresa quella americana. Una green zone che non è più inaccessibile dopo gli attacchi taleban di alcuni giorni fa. Allora perché tanta ingenuità? Rabbani non era certo un pacifista, un militante non violento, la sua biografia lo dimostra.Tagiko, nato nella provincia settentrionale di Badakhshan nel 1940, si era laureato in legge islamica e teologia all’università di Kabul, studi che avrebbe poi approfondito all’università di al Azhar al Cairo, dove è entrato in contatto con i Fratelli musulmani. Sarebbero stati i testi di leader islamisti radicali come al Banna e Mawdudi ad ispirarlo quando decise di creare il suo movimento Jamiat-e islami, il primo partito religioso afghano. L’organizzazione sarebbe diventata punto di riferimento dei mujahidin durante la guerra combattuta contro gli occupanti sovietici dal Pakistan. Un ruolo che è valso a Rabbani la presidenza nel primo governo dei mujahidin, dal 1992 al 1996. Anni in cui i mujahidin si combattevano tra di loro distruggendo Kabul. Alla caduta dei taleban – combattuti insieme al più famoso leader tagiko Massud, assassinato alla vigilia dell’11 settembre – a giocare un ruolo politico nel governo sono stati i delfini di Rabbani, mentre lui si dedicava al partito. Non è mai stato un alleato di Karzai, per questo ha sorpreso la sua nomina, nell’ottobre del 2010, a presidente dell’Alto consiglio della pace incaricato di trattare con i taleban. Probabilmente si è trattato di un suggerimento di Washington. Tuttavia, finora il negoziato non è partito. Probabilmente perché i taleban preferiscono trattare direttamente con gli americani e per questo alzano il tiro. Quale può essere l’obiettivo raggiungibile? Una tregua, non certo la pace, in cambio di un ritorno al potere dei taleban che, del resto, in questi anni se lo sono ripreso in gran parte del paese. Rabbani poteva essere l’uomo della mediazione? Difficile immaginare un signore della guerra che diventa una colomba per promuovere la pace, probabilmente voleva solo guadagnare posizioni in vista del ritiro degli americani. Dopo il suo assassinio i tagiki si stanno già riarmando e promettono vendetta.La pace sarà difficilmente raggiungibile finché a “promuoverla” saranno i signori che hanno insanguinato il paese, mentre i giovani, le donne, coloro che vogliono giustizia e democrazia restano ai margini della società e continuano a subire violenze.
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