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Il difficile 8 marzo delle donne afghane.

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Famiglia Cristiana – 7 marzo 2013 di Romina Gobbo

La denuncia di Saman Basir, leader del partito democratico Hambastagi: «La situazione femminile è peggiorata»

Le donne afghane non si fermano davanti a nulla, neppure davanti alle minacce e all’ostruzionismo del governo. Il ramo femminile del partito democratico Hambastagi, che ha organizzato a Kabul un grande evento per l’8 marzo, Giornata internazionale della donna, si aspetta almeno 1.200 persone. Arriveranno da tutto il Paese, con una grande maggioranza di donne, e si ritroveranno, a partire dalle 14, all’interno di un edificio, di cui per motivi di sicurezza ancora non si sa l’ubicazione. Si alterneranno momenti musicali, poesie, spettacoli teatrali e interventi contro l’occupazione americana e contro i governanti locali.

Parteciperà anche una delegazione del Cisda, il Coordinamento italiano per il sostegno alle donne afghane, e dell’associazione di volontariato bellunese “Insieme si può”, che si occupa di sensibilizzare sul problema dei diritti violati.

«La sicurezza è molto peggiorata», spiega Carla Dazzi, fotografa, volontaria di “Insieme si può”, a Kabul per esporre una sua personale fotografica. «Neppure a noi hanno comunicato il luogo dell’evento dell’8 marzo; ci verranno a prendere e ci accompagneranno sul posto. Nei prossimi giorni, poi, cercheremo di mantenere un profilo basso decidendo come muoverci di giorno in giorno».

«I mass media occidentali», afferma Saman Basir, leader del ramo femminile di Hambastagi, «rappresentano la situazione delle donne in Afghanistan come nettamente migliorata grazie all’intervento di Usa e Nato, perché la questione femminile, unita a quella dell’esportazione della democrazia, sono servite in questi 11 anni a giustificare l’occupazione. Invece, le donne afghane sono diventate le principali vittime dei signori della guerra. Permane il delitto d’onore, così spesso succede che ragazze rapite e stuprate siano poi uccise dalla famiglia, perché la violenza subita ne infangherebbe il buon nome. Quando non siano le stesse ragazze violate a mettere fine alla propria vita in silenzio, incapaci di sopportare la vergogna (nel 2011 sono stati registrati 2.300 casi di auto-immolazione e suicidio).

Un’altra dolorosa realtà del nostro Paese sono le minorenni date in mogli per risolvere controversie o per pagare debiti familiari. Le donne afghane si sentono impotenti e senza speranza, perché non possono contare né sulla polizia, né sulla magistratura. Le leggi attuali rispecchiano la mentalità misogina delle istituzioni tanto quanto quelle dell’epoca talebana. Spesso accade che le donne che trovano il coraggio di denunciare una violenza vengano esse stesse incolpate. Le carceri sono piene di detenute la cui “colpa” è essere scappate di casa, per sottrarsi da Dal 2009 esiste una legge che criminalizza i matrimoni forzati, lo stupro e altri atti di violenza contro le donne, ma viene applicata sporadicamente».

Ci sono progressi per quanto attiene all’istruzione?
«Dall’invasione del 2011, sanità e istruzione in Afghanistan sono notevolmente peggiorate. Le donne che vivono nelle zone rurali solo raramente possono usufruire delle strutture sanitarie, ma anche quelle che potrebbero accedervi, non hanno poi il denaro necessario a pagarsi le cure. Solo il 5% delle ragazze riesce ad arrivare alla quinta elementare, dopo, c’è il matrimonio. Quelle che vogliono studiare o lavorare incontrano molti ostacoli e sono obbligate a uscire di casa con il capo coperto. Insegnanti e presidi sono stati minacciati e uccisi e molti edifici scolastici sono stati incendiati. Punizioni come la lapidazione, la fustigazione, l’amputazione di parti del corpo e l’impiccagione pubblica sono applicate normalmente, nel rispetto della legge islamica».

Qual è l’obiettivo di Hambastagi?
«Chiediamo il ritiro immediato di tutte le truppe straniere. Né gli Stati Uniti, né la Nato, né gruppi fondamentalisti reazionari come Northern Alliance e i talebani, né tantomeno Gulbuddin Hekmatyar (il leader del partito Hezb-e-Islami, che in una recente intervista ha ribadito il proprio odio nei confronti della democrazia, ndr) possono portare pace, libertà, giustizia, democrazia e diritti per le donne. Solo la popolazione afghana può liberare l’Afghanistan, se si unisce sotto la bandiera di un partito progressista e indipendente, e noi lavoriamo per questo.
Vogliamo che tutti gli elementi progressisti e democratici del mondo facciano pressione sui propri governi affinché l’Afghanistan sia lasciato libero. Questi governi stanno sprecando i soldi dei loro contribuenti e il sangue di una gioventù innocente per una guerra che non porta beneficio a nessuno. Se le truppe straniere se ne andranno, il nostro popolo non dovrà più fronteggiate gli arsenali più sofisticati al mondo, ma solo un pugno di criminali e traditori afghani. Ciò renderà più facile la nostra lotta per la libertà».

Ma l’America ha annunciato il ritiro delle sue truppe nel 2014.
«Gli Usa hanno instaurato un regime fantoccio e vi hanno inserito i vecchi criminali di guerra, li hanno finanziato per i propri interessi, dando loro e togliendo il potere a seconda della convenienza, senza considerare le conseguenze disastrose di questi uomini sulla popolazione, ormai ridotta in miseria. Gli Usa stanno mentendo; non se ne andranno mai dal nostro Paese; la storia ha dimostrato che dove hanno messo piede, non hanno mai mollato…».

La presenza di donne provenienti da tutto il Paese alla vostra manifestazione ne dimostra la voglia di riscatto.
«Le donne afghane non sono passive come spesso i media le rappresentano. Solo che non c’è la volontà di politica di aiutarle a emanciparsi. Perciò, devono cavarsela da sole».
Lo stesso giorno l’Ambasciata italiana ha organizzato, alle 17, nei propri locali, una tavola rotonda sulla situazione delle donne afghane. Sempre nella residenza dell’ambasciatore, verrà esposta la mostra di Carla Dazzi, “Afghanistan… per dove…”, che da 13 anni si spende a favore delle donne afghane. Le sue opere fotografiche ripercorrono i numerosi viaggi umanitari nel Paese degli aquiloni. «La mia mostra», dice, «vuole rendere omaggio alla società civile afghana, che continua a non avere voce nel nostro mondo».
Infine, il 9 marzo, negli uffici della Cooperazione italiana, ci sarà la presentazione delle attività delle varie Ong, locali e internazionali, che si occupano della condizione delle donne afghane.

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