“Fantastici cinque”, i taleban che salveranno l’America (ma non l’Afghanistan)
di Andrea Intonti, 2 novembre 2012, agoravox.it
Se Karzai (e gli U.S.A.) riabilitano i taleban
Kabul (Afghanistan) – Sono in molti a chiedere che la blacklist afghana venga cancellata in toto, rimettendo così nella lista dei “good guys” – in una rivisitazione della famosa massima di Franklin Delano Roosvelt su Anastasio Somoza – i circa 140 afghani ancora accusati di avere legami con Al Quaeda inseriti nella cosiddetta “lista 1267”, dal nome della risoluzione delle Nazioni Unite del 1999 con la quale è stato definito il sistema di sanzioni – anche di natura economico-finanziaria – verso tutti i conniventi con il gruppo di Bin Laden e che, allo stato attuale, contiene ancora circa 450 nomi. Ma chi sono i “fantastici cinque” che l’America libererà?
Guantánamo file US9AF-000007DP: Mullah Mohammad Fazl, conosciuto anche come Ahmad Fazl, Mazloom Fazl o Haji Fazl Akhund; nato a Sekzi nel distretto di Charchineh, provincia dell’Uruzgan nel 1967. Vicino al mullah Muhammad Omar, Fazl è stato il Capo di Stato Maggiore nel nord dell’Afghanistan ed ex ministro della difesa taleban. È accusato di connivenze con Al-Quaeda, il Movimento Islamico dell’Uzbekistan, il gruppo ultraradicale Hezb-e-Islami di Gulbuddin Hekmatyar – uno dei più potenti warlords afghani – e con un gruppo anti-coalizione denominato Harakat-i-Inquilab-i-Islami.
Considerato un detenuto “ad alto rischio”, è stato individuato come uno dei responsabili del massacro di migliaia di hazara – la minoranza sciita – tra il 1998 ed il 2001 e dell’uccisione dell’agente della Central Intelligence Agency Johnny Michael Spann nel 2001, durante la rivolta talebana nella fortezza di Qala-i-Jangi (“fortezzza della guerra” in afghano), fuori la città di Mazar-i-Sharif, nel nord del Paese. Spann è considerato la prima vittima americana della guerra afghana.
A fine novembre 2001 Fazl si arrende al generale Abdul Rashid Dostum dell’Alleanza del Nord insieme al mullah Norullah Noori e Abdullah Gulam Rasoul. Un anno dopo, l’11 gennaio 2002, viene trasferito a Guantánamo. Se rilasciato, avverte il dossier a suo nome nella prigione dell’isola cubana, potrebbe tornare nelle fila dei taleban (dei quali fa parte fin dal 1995) sfruttando il vasto potere – basato anche sul traffico di droga – e le ingenti risorse finanziarie a sua disposizione già ai tempi del suo ruolo politico-militare nell’organizzazione. Conti a lui riferibili sono stati congelati presso la al-Taqwa Bank (“Timore di Dio” in arabo), fondata nel 1988 da alcuni leader della Fratellanza Musulmana con uffici in Lichtenstein, Svizzera, Bahamas ed Italia, accusata dagli Stati Uniti di essere una tra le prime finanziatrici del terrorismo islamico di cui riciclerebbe il denaro. Il Consiglio di Amministrazione della banca ha sempre negato ogni collegamento di questo tipo.
Guantánamo file US9AF-000006DP: Mullah Norullah Noori (o Nori), conosciuto anche con gli alias di Noor Muhammad, Noorudeen, Hafiz Noorullah; nato a Shayoy, nella provincia di Zabul nel 1967. Comandante militare nel nord Afghanistan, accusato – insieme a Fazl – di crimini di guerra, tra i quali il massacro degli hazara, giustificato dalla volontà talebana di «stabilire il loro Stato ideale».
Durante il governo talebano (1996-2001) è governatore delle province di Balkh, di cui capoluogo è Mazar-i-Sharif, e Laghman. Insieme al mullah Fazl nel novembre 2001 negozia la resa di Kunduz, ultima roccaforte talebana nel nord dell’Afghanistan, consegnandosi al generale Dostum. Anche per lui il trasferimento a Guantánamo arriva l’11 gennaio 2002. Pur essendosi sempre definito come un “soldato semplice”, il mullah ha rivestito compiti di rilievo all’interno delle gerarchie talebane, tra i quali i rapporti con le organizzazioni non-governative locali.
Vicino al mullah Omar, secondo i “Guantánamo files” sono stati evidenziati rapporti del mullah con il gruppo di Gulbuddin Hekmatyar attraverso Arbab Hashim, capo tribale taleban e comandante del gruppo ucciso nel 2001, con Al Quaeda, il Movimento Islamico dell’Uzbekistan (IMU) ed il Gruppo dei Combattenti Islamici Libici (Lybian Islamic Fighting Group, fondato negli anni ’80 da mujaheddin libici reduci dalla guerra tra Unione Sovietica ed Afghanistan). Tra gli uomini a lui riconducibili anche l’ex direttore dell’Afghan National Bank di Kandahar, Muhammad Razaq, accusato di traffico di stupefacenti tra la zona est e la zona ovest del Paese.
Guantánamo file US9AF-000832DP : Mohammed Nabi, conosciuto anche come Maulawi Mohammed Nabi, nato nel 1968 nel villaggio di Metakhan, provincia di Khowst. È considerato uno degli alti ufficiali dei taleban, per i quali ha ricoperto vari ruoli tra i quali quello di Capo delle comunicazioni nella provincia di Kabul e sub-comandante di un gruppo chiamato “Unione dei Mujaheddin”, secondo le autorità statunitensi gruppo-satellite riferibile ad Al-Quaeda. Arrivato a Guantánamo il 20 ottobre 2002, ha sempre riferito di aver fatto parte degli “studenti” fino all’arrivo degli americani – per i quali dice anzi di aver lavorato – e di essere finito nella prigione statunitense-cubana perché qualcuno ha raccontato bugie alle forze americane. Era stato arrestato il 14 settembre di quello stesso anno, quando il governatore di Khowst, Hakim Taniwal, lo aveva informato che i suoi amici americani volevano incontrarlo al vecchio aeroporto cittadino. Una volta arrivato, Nabi è stato arrestato.
Entrato nella resistenza anti-sovietica sul finire degli anni ’80, torna in Pakistan per concludere gli studi islamici iniziati prima del suo ingresso nel fronte anti-sovietico, facendo poi ritorno in Afghanistan – in via definitiva – nel 1992. Quattro anni dopo entra a far parte dei taleban dopo aver lavorato per un anno come Capo della sicurezza a Qalat, capoluogo della provincia meridionale di Zabul. Nel 2000 – dopo essere tornato alla sua attività di contadino – diventa Capo delle comunicazioni a Kabul, lavorando nell’Ufficio comunicazioni sotto l’ex Ministro dell’Interno, il mullah Abdul Razzaq, che gli affida anche il compito di controllare il contrabbando trans-frontaliero.
Date le scarse doti, nel 2002 Nabi esce di nuovo dai taleban per andare a rivendere schede usate in un piccolo villaggio vicino Khowst. È qui che conosce tale “Mark” – secondo Nabi un agente della CIA – che lo coopta al fine di trovare il mullah Omar o avere informazioni sui membri dell’organizzazione terroristica oggi guidata da Ayman al-Zawahiri. È in questo contesto che viene arrestato ed inviato a Guantánamo, anche se la prima destinazione – recitano i Guantánamo files – era il carcere di Bagram[1].
Insieme al cognato Malim Jan, conosciuto come “il macellaio di Khowst”, e Gul Majid, Nabi è uno dei tre comandanti talebani direttamente riconducibili al clan degli Haqqani, per i quali si è interessato del contrabbando di armi sul confine Pakistan-Afghanistan, sfruttando proprio la via di Khowst. Noti inoltre i suoi contatti con l’altro potentissimo signore della guerra afghano – Gulbuddin Hekmatyar – ed Al Quaeda.
Guantánamo file US9AF-000579DP: Khair Ulla Said Wali Khairkhwa, conosciuto anche come Khirullah Said Wali Khairkhwa e Wali Herat, nato ad Argastan, provincia di Kandahar nel 1967.
Ex portavoce, ministro dell’Interno e governatore della provincia di Herat (la più importante di tutto l’Afghanistan occidentale) nonché comandante militare, era direttamente collegato sia con Osama Bin Laden ed il Mullah Omar che con il governo di Hamid Karzai, di cui – ha raccontato negli interrogatori affrontati – è amico di vecchia data. Nonostante abbia sempre smentito qualsiasi coinvolgimento ideologico con gli “studenti”, secondo il giornale pakistano in lingua inglese Daily Times è uno degli uomini più fedeli al mullah Omar.
Considerato uno dei principali trafficanti d’oppio del paese, secondo i Guantánamo files a lui sarebbero stati demandati i compiti di incontrare gruppi terroristici anti-americani dopo l’11 settembre 2001, finanziando la sua attività con i proventi illeciti del traffico di droga. Anche per questo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso di inserire il suo nome nella lista delle personalità alle quali congelare le finanze (risoluzione Onu 1267). Durante il suo governatorato ad Herat ha lavorato con le locali organizzazioni non governative al fine di assicurare il benessere del proprio clan – quello pashtun dei Popalzai – di cui era leader prima che gli “studenti” prendessero il potere, per poi contrattare la propria posizione personale con l’attuale presidente afghano allorquando il potere politico è transitato alle forze della coalizione internazionale ed al governo attualmente in carica.
È stato arrestato il 16 febbraio 2002 in un raid della polizia di frontiera pakistana presso l’abitazione di Abd al-Manan Niyazi, ex governatore di Kabul a Chaman (sul confine tra la provincia afghana di Kandahar e quella pachistana di Balochistan) per poi essere trasferito a Quetta dagli americani, ai quali interessava scoprire non solo la modalità dei rapporti tra Al Quaeda, ufficiali iraniani e talebani ma anche – e soprattutto – come questi trasferissero le armi lungo la linea frontaliera.
Guantánamo file US9AF-000004DP: Abdul Haq Wasiq, conosciuto anche come Abu Abdullah, Mullah Waziq e Wasiq Sahib, nato a Ghazni, capoluogo della provincia omonima nella zona centro-orientale dell’Afghanistan nel 1971. Viceministro dell’Intelligence e direttore del Riyasat-i-Istikhbarat (il servizio di intelligence talebano), ha permesso contatti diretti tra i taleban ed il gruppo dirigente di Hezb-e-Islami Gulbuddin, il gruppo riferibile ad Hekmatyar e, secondo i Guantánamo files, ha avuto un ruolo centrale per la creazione di un’alleanza con gruppi riferibili al fondamentalismo islamico dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001.
Viene arrestato nel novembre 2001, alcuni giorni dopo un incontro con il suo assistente Gohlam Ruhani, due americani ed un traduttore presso i vecchi uffici governativi a Maqaur, nella provincia di Ghazni al quale avrebbe dovuto partecipare anche l’allora Ministro dell’Intelligence Qari Ahmadullah. Scopo dell’incontro era quello di ottenere informazioni in merito alla posizione del mullah Omar – con il quale era in diretto contatto tramite Muhammad Zahir, come comproverebbe la corrispondenza tra i due intercettata presso l’abitazione di quest’ultimo – che sarebbero state poi girate all’intelligence americana. Da qui la convinzione di Wasiq di aver di fatto lavorato per gli americani. Così come il mullah Fazl, un conto riferibile a Wasiq è stato ritrovato presso la filiale di Nassau (Bahamas) della al-Taqwa Bank. Il suo rilascio, dicono fonti di intelligence, è considerato “altamente problematico”.
Il terzo in(s)comodo. Tra le volontà statunitensi e quelle taleban, comunque, inascoltate rimangono quelle della società civile «schiacciata tra la violenza talebana e quella delle truppe Isaf», come raccontava a Cristiana Cella dell’Unità Samia Walid[2], attivista del Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, la più antica organizzazione politica e sociale delle donne afghane. «Gli americani devono sganciarsi dal disastro afghano ma non senza aver raggiunto il loro scopo: restare a tempo indeterminato nelle loro basi, una sorta di occupazione legalizzata, il cosiddetto Patto strategico. E quindi bisogna trattare con i talebani». Un “contratto politico”, come lo definisce Samia Walid, che reitera la vecchia tradizione dell’alleanza con gli ex-nemici (e, dall’altro lato, della guerra agli ex-alleati) a cui gli Stati Uniti ci hanno abituati. Non è escluso, dunque, che tra qualche anno non si torni nuovamente a parlare di un nuovo conflitto talebano-statunitense.
Nel frattempo, in questi undici anni la comunità internazionale ha devoluto al dio della guerra afghano-statunitense qualcosa come 40 miliardi di dollari (4 dei quali provenienti dalle tasche del contribuente italiano[3]), necessari – come denunciava un articolo di Enrico Piovesana su PeaceReporter dell’ottobre 2011 – anche ad abbassare alcuni tra i principali standard sociali come l’aspettativa di vita – passata da 46 a 44 anni – ed il tasso di alfabetizzazione, ridotto dal 31 al 28% ed alzando invece quello della povertà assoluta, che ora interessa il 36% della popolazione (mentre prima dell’intervento straniero era del 23%).
A questo punto, dunque, la domanda è più che lecita: a cosa è servita, realmente, la guerra in Afghanistan?
Lascia un commento