Dall’Australia: la guerra in Afghanistan – un crimine contro l’umanità
Da: RAWANEWS
Traduzione a cura di Gloria Geretto
Manifestazione contro la guerra in Afghanistan – Hollywood – 6 ottobre 2010
La presente dichiarazione è stata rilasciata dalla Socialist Alliance lo scorso 8 Ottobre.
Il 17 Ottobre 2001, il governo di coalizione Liberal-Nazionale guidato da John Howard schierò le truppe australiane in Afghanistan, a soli nove giorni di distanza dall’inizio dei bombardamenti americani in questo paese stremato dalla guerra e dalla povertà.
All’epoca, l’Alleanza Socialista australiana, da poco formatasi, rispose a questa mossa e agli attacchi terroristici dell’11 Settembre a New York e Washington, puntando il dito contro l’ipocrisia statunitense e dichiarandosi pronta a lanciare una campagna di lotta contro la politica della “guerra senza fine” promossa dell’allora presidente George W. Bush.
“Siamo pronti a lanciare la più vasta campagna di opposizione ad ogni tentativo degli Stati Uniti e delle forze alleate di usare la tragicità della situazione come pretesto per un intervento militare”, dichiara l’Alleanza Socialista.
Da allora, l’Alleanza Socialista ha continuato ad opporsi all’appoggio militare australiano alle truppe Nato e statunitensi schierate in Afghanistan. Abbiamo continuato a ricercare nuove possibilità di costruire un fronte d’opposizione alla guerra in Iraq e Afghanistan – un obiettivo che potrebbe concretizzarsi in modo significativo con l’inizio del dialogo in parlamento.
Ad ottobre l’invasione afghana da parte degli Stati Uniti e dei paesi alleati – Australia compresa – ha raggiunto il decimo anno. I bombardamenti sul territorio afghano, il più povero al mondo, da parte di alcuni tra i paesi più ricchi, è un crimine contro l’umanità. Un crimine finalizzato esclusivamente al consolidamento del controllo americano sul territorio.
La giustificazione legale avanzata sin dal primo momento è stata messa in discussione dal momento che l’Articolo 51 delle Nazioni Unite non autorizza alcuna strategia di autodifesa in risposta ad un attacco, e di conseguenza, nemmeno quella adottata da Stati Uniti e Gran Bretagna.
Inoltre, il diritto di autodifesa è consentito solo nel caso di attacchi da parte di paesi stranieri e non di attività criminali come il terrorismo.
Nonostante le rivendicazioni dei leader occidentali, il regime talebano in Afghanistan non ha mai promosso gli attacchi dell’11 Settembre. Il comando centrale di Al Qaeda aveva sede in Afghanistan, ma i terroristi che compirono gli attentati (nessuno dei quali di nazionalità afghana) erano residenti in Germania e negli Stati Uniti.
Secondo alcuni rapporti recenti, i talebani avrebbero cercato di avvertire gli Stati Uniti sul rischio di un imminente attacco terroristico, limitando inoltre le operazioni guidate da Al Qaeda.
Gli Stati Uniti sono coinvolti in una lotta terroristica nazionale in Afghanistan sin dagli anni Settanta; Al Qaeda non è che un prodotto di matrice terroristica del governo americano.
L’Afghanistan è stato definito “il cimitero degli imperi”. In passato, gruppi di insorgenti in Afghanistan erano riusciti a sconfiggere gli invasori. Accadrà lo stesso anche in questa guerra – la più lunga per l’Australia sin dai tempi del conflitto in Vietnam.
I talebani sono una conseguenza dell’invasione sovietica in Afghanistan. Anche Hilary Clinton li considera gruppi jihadisti che, da alleati, furono “supportati, addestrati e armati” e che di fatto non rappresentavano alcun rischio per la sicurezza degli Stati Uniti e delle forze alleate.
La minaccia talebana continuerà a crescere grazie anche alla complicità del popolo afghano disgustato dalla brutalità e dalla corruzione del governo Karzai, dal numero sempre più elevato di vittime civili causate dagli attacchi aerei americani e pervaso da un forte senso di sfiducia.
La presenza di Al Qaeda in Afghanistan non rappresenta per il popolo afghano una minaccia grande quanto le atrocità causate dalle forze occupanti o i continui bombardamenti con aerei droni controllati direttamente dalle basi militari negli Stati Uniti.
Al Qaeda ha ridotto in modo significativo il numero dei militanti in Afghanistan. In un’intervista per il canale americano ABC rilasciata lo scorso giugno, il capo della CIA Leon Panetta ha dichiarato che Al Qaeda contava in Afghanistan “un massimo di 50-100” militanti. Intanto, gruppi di insorgenti continuano a formarsi e a combattere le forze occupanti schierate al fianco del governo corrotto di Hamid Karzai, dei signori della guerra e attraverso i legami con l’Agenzia di Intelligence pakistana. (si veda Wikileaks Afghanistan War Diaries per maggiori approfondimenti)
RAWA, l’Associazione Rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan, ritiene le forze occupanti responsabili della crescita incessante del fondamentalismo, dell’illegalità, della povertà e del numero di violenze sulle donne.
Stremati dalle difficili condizioni meteorologiche, in un paese dove le infrastrutture sono state smantellate durante la guerra, molti afghani difficilmente raggiungono la soglia dei quarantatre anni.
Tra le giustificazioni per il mancato ritiro delle truppe australiane in Afghanistan vi è quella di “portare a termine il lavoro”. Questo lavoro consiste nell’addestrare l’esercito e le forze di polizia afghane così che possano garantire la continuazione del governo Karzai – un governo corrotto che conta tra i suoi collaboratori i principali trafficanti di droga del paese e che fu instaurato in modo tutt’altro che democratico dagli Stati Uniti e dai suoi alleati. Il dubbio riguardo il significato di “lavoro” tuttavia resta.
Il regime di Karzai è protetto dalle truppe straniere e da mercenari privati più che dall’esercito locale e dalla polizia afghana. Queste forze sono costituite sia da milizie private (con nuove divise) sia da gente comune alla ricerca di un qualche guadagno per sfamare la propria famiglia. Molti abbandonano. Altri sparano ai propri “addestratori”.
Le speranze di assistere ad un coinvolgimento attivo in supporto del popolo afghano da parte delle forze australiane si fanno sempre più vane, specialmente dopo che lo scorso settembre alcuni membri dell’Australian Special Operation Task Group, un gruppo di intervento speciale australiano, hanno dovuto rispondere davanti alla corte marziale dell’uccisione di due adulti e quattro bambini avvenuta nel 2009 nelle vicinanze di Sarmorghab, un villaggio nella provincia di Oruzgan.
I laburisti e i membri della coalizione sono convinti che un eventuale ritiro delle truppe australiane metterebbe fortemente a rischio la sicurezza nazionale. L’Afghanistan tuttavia non ha mai minacciato l’Australia.
Il protrarsi delle violente guerre condotte dai paesi occidentali, la loro occupazione e il terrorismo da essi esercitato contro le nazioni musulmane come l’Afghanistan, continueranno tuttavia ad accrescere il sentimento d’odio che sfocia inevitabilmente in azioni terroristiche.
Queste guerre sono atti terroristici di livello nazionale che spingono singoli individui a compiere azioni terroristiche come forma di protesta. È per questo motivo che i rappresentanti della difesa sostengono che un incremento delle truppe e la prospettiva d una guerra d’occupazione senza fine non solo contribuiranno a destabilizzare l’Afghanistan e il Pakistan, ma costituiranno anche una minaccia alla sicurezza mondiale.
La vita delle donne afghane – che i fautori della guerra dichiarano di voler proteggere – continua a peggiorare non solo nelle aree controllate dai talebani. Karzai ha promosso una legge che legalizza lo stupro del marito nei confronti della propria moglie e i dati recenti indicano un numero crescente di episodi di auto immolazione da parte delle donne.
Da quanto emerge dal rapporto “Trends in Maternal Mortality” pubblicato lo scorso settembre dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in collaborazione con il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef), dopo circa un decennio di fondi stanziati ai vari progetti sanitari, il tasso di mortalità materna e infantile è diminuito solo minimamente.
Lo scorso anno, l’Unicef ha classificato l’Afghanistan il paese con il più alto tasso di mortalità materna e infantile al mondo.
Dobbiamo fare pressione affinché il governo australiano ritiri le truppe. Il sessantuno percento degli australiani vogliono questo ritiro. La loro volontà non può essere ignorata in nome dell’alleanza tra Stati Uniti e Australia.
L’Australia tuttavia, non deve nemmeno voltare le spalle a questo paese dilaniato dalla guerra. Il governo Gillard deve mettere a disposizione i fondi e gli aiuti necessari al popolo afghano ( e non ai politici corrotti – afghani o occidentali che siano). La risoluzione del conflitto permetterebbe infatti al popolo afghano di rimettere insieme i cocci di una vita distrutta dalla guerra.
L’Australia deve inoltre aprire le porte ai rifugiati afghani che cercheranno di stabilirsi in questo paese; è il minimo che possa fare dopo aver costretto per anni il popolo afghano a fuggire dal proprio paese.
In fine, la classe politica deve smetterla di manipolare questa tragedia in atto. Il dialogo – che il Partito Laburista australiano è stato costretto ad affrontare – non deve limitarsi all’ambito parlamentare. Non ci può essere dialogo fin tanto che ci si limiterà a sostenere, come il PM Julia Gillard, un maggiore “sostegno alle truppe”.
La manipolazione di questo dibattito vuole impiegare il sentimento nazionalista, spesso fuori luogo, per mettere a tacere le opinioni di coloro che considerano l’occupazione australiana e dei suoi alleati in Afghanistan, un crimine contro l’umanità.
È giunto il momento di far valere queste opinioni da tempo messe a tacere e di metter fine a questo pericoloso e ingiustificato bipartitismo che ha già causato decine di migliaia di morti.
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