Che cosa non ha funzionato per le donne afghane?
Quando ebbe inizio l’invasione dell’Afghanistan nel 2001, era convisione diffusa che l’immagine delle donne afghane coperte dal burqa sarebbe diventata cosa del passato. Non è andata così.
I diritti delle donne sono stati un argomento fondamentale per giustificare la guerra in Afghanistan. Vi ricordate quando Cherie Blair e Laura Bush unirono le loro forze per sostenere la giustezza per l’invasione del paese nel 2001? Improvvisamente in Occidente nacque una forte e appassionata preoccupazione per la condizione delle donne in Afghanistan; ci furono film, libri e documentari sull’alta percentuale di mortalità materna, sulle ragazze date in sposa giovanissime e sul basso livello di alfabetizzazione delle donne. Si impose l’assunto che sarebbe stata sufficiente un’invasione affinché le donne si potessero spontaneamente sollevare e si sbarazzassero del loro burqa.
Ma i cambiamenti sono avvenuti in modo più lento di quanto ci si aspettasse. Nel corso degli anni, i giornalisti sono rimasti sorpresi di constatare che il numero di burqa nelle strade di Kabul non diminuiva così velocemente come ci si era previsto. Oggi, nel decimo anniversario dell’invasione del 7 ottobre 2001, si può vedere ciò che è stato realmente raggiunto per le donne afghane e ciò che invece ha fallito. E sempre più ci si rende conto che i recenti sviluppi stanno cancellando i primi successi e che, a soli tre anni e mezzo dal previsto ritiro delle forze della colazione internazionale, il tempo per fare qualcosa sta finendo.
I successi più visibili si sono avuti nel campo dell’istruzione, con 2,4 milioni di iscrizioni di bambine alla scuola primaria, sebbene ci sia un alto tasso di abbandono scolastico e il numero di ragazze che proseguono gli studi nella scuola secondaria sia piccolo. Ma il fatto è che la natura conservatrice dell’Afghanistan rurale non è cambiata sostanzialmente. In questi ultimi 10 anni, per gli aiuti allo sviluppo del paese è stata spesa la cifra colossale di 57 miliardi di dollari; ma questo non ha avuto impatto sui costumi radicati che schiacciano la vita delle donne.
La mancanza di sicurezza è peggiorata negli ultimi anni. Il recente attentato agli operatori afghani della ONG Oxfam, che ha causato tre morti, viene ricondotto anche al fatto che la ONG impiegava personale femminile. Gli attacchi alle scuole femminili e alle insegnanti continuano.
“Chi lavora fuori casa rischia la vita ogni giorno” dice Zarghuna Kargar, scrittrice e giornalista afghana, nella trasmissione “L’ora delle donne afghane” al BBC World Service. “Devono temere attacchi dai loro vicini, dai loro colleghi e dagli estranei che incontrano per strada. Non vedo nessun segno di cambiamento culturale in questi ultimi 10 anni. Gli usi tradizionali sono ancora fortemente radicati.”
Kargar ricorda che una donna poliziotta è stata uccisa, come pure una donna che lavorava per una ONG straniera. Per una donna, lavorare fuori casa può significare venire uccisa. “So che ci vorrà tempo per cambiare queste cose. Siamo stati abituati ad avere pazienza, in Afghanistan, ma ora stiamo perdendo la speranza, dopo 10 anni, e abbiamo paura di diventare presto uno stato dimenticato, che tornerà indietro come era un tempo” dice Kargar.
La pressione della comunità internazionale ha assicurato che la costizione e il sistema legale del paese includessero formalmente i diritti delle donne, ma la realtà è molto diversa. Ci sono solo pochissime donne giudice e quando le donne hanno il coraggio di andare dalla polizia vanno incontro a un trattamento discriminatorio.
Inevitabilmente, dopo 10 anni di enormi investimenti e un panorama di così scarsi risultati, la ricorrenza del decennale spingerà molti che lavorano nelle organizzazioni umanitarie a interrograsi su che cosa è andato storto in Afghanistan.
Forse uno degli aspetti più problematici del conflitto è stato il confine poco definito tra intervento per lo sviluppo e occupazione militare. Le Squadre per la ricostruzione nelle province (Provincial Reconstruction Teams) della missione militare sono state impegnate nella costruzione di scuole e ospedali, riducendo lo spazio “umanitario” in cui possono lavorare le ONG.
Ma è una questione altrettanto complessa quella che le ONG occidentali possano determinare cambiamenti in usi sociali consolidati. Ci sono stati esempi positivi in altre parti del mondo. Oxfam ricorda come il suo sostegno a una coalizione di movimenti di base in India e in Bangladesh abbia avuto un ruolo nell’organizzazione di una campagna contro la violenza domestica e come questa campagna abbia inciso nell’effettivo cambiamento di mentalità circa ciò che è accettabile nei rapporti famigliari. Ma la condizione fondamentale per arrivare a un risultato positivo è che sia le donne sia gli uomini riescano a vedere i vantaggi del cambiamento. In Afghanistan, questo modello ha fallito. I tentativi di sviluppare una campagna analoga sull’omicidio d’onore sono finiti in nulla.
Oggi molte ONG temono che, dopo il ritiro delle truppe internazionali, diventerà impossibile lavorare nel paese. Dopo dieci anni, l’anniversario dell’invasione rischia di essere una tetra ricorrenza, ed è altamente improbabile che si parli molto di successi delle donne. Usata come giustificazione per l’invasione, la tragedia dei diritti negati delle donne afghane sta sempre più evidenziando un imbarazzante fallimento.
Madeleine Bunting, dal sito del Guardian, 26 settembre 2011
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