Afghanistan: le case per donne maltrattate finiscono sotto il controllo del governo
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Le case per le donne maltrattate in Afghanistan passeranno sotto il controllo del governo. La notizia sta girando in questi giorni sul web, ma le cronache dall’Egitto e dalla Libia l’hanno relegata in secondo piano. È un passo indietro gravissimo per i diritti delle donne. In base a un decreto passato a gennaio, entro 45 giorni questi rifugi – gestiti da associazioni – che accolgono donne stuprate, picchiate e maltrattate saranno controllati dal ministero degli Affari femminili.
Strizzando l’occhio ai talebani e alle forze politiche più retrograde, Karzai ha di fatto riconosciuto le istanze della Corte suprema, un organo oscurantista che controlla che tutte le leggi siano in linea con la sharia islamica. Secondo la quale qualsiasi donna che abbandona il tetto coniugale è ritenuta criminale, indipendentemente dalle ragioni che l’hanno spinta a farlo.
Abbiamo sentito Cristina Cattafesta del Coordinamento italiano sostegno donne afgane onlus (Cisda), che aiuta concretamente due case per donne maltrattate – a Kabul e a Herat – attraverso un’associazione afgana.
«È paradossale: con questa nuova legge, nessuna donna potrà presentarsi a una casa rifugio se non accompagnata da un parente maschio. Qualunque familiare potrà chiedere che la donna ospitata venga restituita alla famiglia, anche senza il suo consenso. E le donne ospiti dovranno essere sottoposte a visite mediche: se è provato che c’è stata violenza sessuale, in Afghanistan la vittima è colpevolizzata e ripudiata».
L’Italia, direttamente coinvolta nella ricostruzione del sistema giuridico afgano, ha speso milioni di euro in aiuti. È assurdo che un governo, sostenuto con i nostri soldi, realizzi normative che violano i diritti umani più elementari. «Qualche mese fa», continua Cattafesta, «su richiesta di un mullah iraniano è passata uno legge che legalizza lo stupro nella comunità sciita. Se una donna rifiuta di avere rapporti sessuali con il marito, quest’ultimo potrà rifiutarsi di sfamarla».
Ci sono forti pressioni da parte della Corte suprema perché il codice che riguarda la famiglia, e dunque le donne, torni come ai tempi dei talebani sotto il controllo dei tribunali tribali e di villaggio. Si vanificherebbero così tutti gli sforzi compiuti negli ultimi anni per migliorare la posizione delle donne afgane nella società, perché non siano lapidate al minimo sospetto di adulterio o possano divorziare nel rispetto della legge.
«Di questa situazione si stanno interessando anche le Nazioni Unite. Ma è fondamentale che tutti sappiano cosa sta succedendo e che si faccia pressione a livello internazionale sul governo afgano».
24 Febbraio 2011, Maria Tatsos
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