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Musica a Kabul dopo le elezioni: “È una cura”

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GIAMPAOLO CADALANU –  la Repubblica – 30 settembre 2019

musicisti KabulIn strada con gli “Ambasciatori di gentilezza”. Gli artisti educano i ragazzi e sfidano i talebani

KABUL – Quando la voce di Masooma Mohammadi si diffonde nel giardino del caffè, dai tavolini accanto gli avventori alzano appena lo sguardo dietro la siepe di rose.
Poi riprendono la teiera d’acciaio, versano bevanda aromatizzata allo zafferano e si rimettono a chiacchierare. Ne è passato di tempo da quando i seguaci del mullah Omar impiccavano i televisori e vietavano danze e canti in tutto l’Emirato islamico d’Afghanistan.

«La gente deve passare più tempo alla moschea», diceva allora il mullah Qalamuddin, incaricato di impedire la corruzione della cultura tradizionale. Ma quegli anni sono lontani per l’Afghanistan che sabato è andato alle urne per scegliere il suo presidente, fra paura di attentati e instabilità.
Ai tempi dell’Emirato, Masooma non era nata e i suoi amici erano ancora bambini.

Sono cinque, tutti attorno ai vent’anni: una voce, due chitarre, un violino e una telecamera.

E un programma che è tutto nel nome del gruppo: “Ambasciatori di gentilezza”. Da un anno questi musicisti di strada si piazzano negli angoli di Kabul a distribuire armonia in mezzo alla polvere e agli scarichi delle auto. «Cerchiamo di evitare i quartieri più tradizionalisti, dove non sempre la gente ci capisce. Qualcuno ci insulta, qualcuno ci accusa addirittura di essere gli inviati di potenze straniere, incaricati di corrompere gli afgani», scuote la testa Sayed Saeed Asghari, violinista, il più anziano del gruppo. Le intenzioni sono già in una citazione della loro pagina Facebook: “Nessuno è così povero da non poter dare un sorriso, nessuno così ricco da non averne bisogno”. Difficile immaginare che cosa ne avrebbe pensato il mullah Omar.

Per gli Ambasciatori la musica può anche curare le ferite, tanto che il gruppo è pronto a esibirsi anche dopo gli attentati. Il programma è vasto: pop, rock, ma anche qualche melodia tradizionale afgana e, perché no, contaminazioni di Mozart, Beethoven e Bach. In questi giorni il gruppo è al lavoro per provare una canzone nuova, con un testo originale che già nella scelta linguistica è esplicito: è in dari, in pashto e in inglese. Dice: “Se sei un essere umano, quale che sia la tua provenienza, hai diritto alla tua dignità”.

Ma gli Ambasciatori non distribuiscono solo melodia: quando fanno concerti privati, dividono il ricavato fra i piccoli seguaci laceri che nel frattempo il gruppo ha raccolto attorno a sé. Sono bambini di strada: non solo si dividono gli spiccioli raccolti nelle performance private, ma si ritrovano in un locale, due volte alla settimana, per ascoltare le lezioni di musica di Masooma. Non si sa mai, il futuro potrebbe essere poco propizio, ed allora è meglio seminare bene, perché l’armonia non sia sepolta per sempre. Ma l’idea che domani si possa tornare a distruggere gli strumenti e bandire tutto quello che non sono canzoni religiose sembra inaccettabile. Dice Masooma: «I talebani devono accettare questa cultura, non hanno il diritto di mettere al bando la musica. E noi non glielo permetteremo».

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