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Vite Preziose – Aggiornamenti

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IL LUNGO CAMMINO DEL PROGETTO VITE PREZIOSE – Luglio 2015

Storie di donne forti che hanno bisogno di noi.

Il nostro progetto continua, da giugno 2011, a sostenere la volontà di cambiamento delle donne afghane. Gli sponsor di Vite Preziose sono persone straordinarie, hanno aiutato e seguito con affetto le donne del progetto per 4 anni, non facendo mai mancare il loro sostegno economico e psicologico, chiedendo notizie, mandando loro dei messaggi commoventi. Alcuni non hanno potuto continuare  nella sponsorizzazione per così tanto tempo e le loro amiche sono, ora, senza sostegno. Ne hanno ancora bisogno nel loro difficile percorso. Cerchiamo qualcuno che raccolga il testimone della staffetta di solidarietà. Ecco le loro storie.

SEEMA

La storia di Seema all’inizio del progetto

Mi chiamo Seema e sono di Bamyan. Ho 35 anni. Sono sposata da 20 anni con mio cugino, tossicodipendente. Una lunga catena di giorni sempre uguali, con le sue botte dentro. Dal primo giorno mi ha picchiata, è un’abitudine, sembra non possa farne a meno. Ha sempre bisogno di soldi per la droga. Sa che ne ho e li vuole. Per questo mi picchia. Gliene do un po’, gli altri li nascondo e lui lo sa, non gli bastano mai. Ma io non parlo, devo difenderli per le mie figlie. Lavoro, per farle crescere e mandarle a scuola. Mi metto il burka e vado a pulire le case degli altri.
Mi piace lavorare, pulire mi piace, pulire tutta la sporcizia che ho intorno. È un segreto, il mio lavoro, tra me e le mie figlie. Quando se ne accorge, mi picchia anche per questo.
Quando esce, l’aria della casa diventa più leggera. Possiamo respirare e immaginare una vita senza di lui. Ma poi torna sempre. Da un anno le cose sono peggiorate. Esce poco e io non posso lavorare. Niente più scuola per le mie figlie, i soldi non bastano. Le ragazze sono cresciute e lui se n’è accorto. Ha cominciato a picchiare anche loro.
Questo no, è troppo. Non posso proteggerle e ho paura del futuro. Ho paura perché adesso lui ha un lavoro: fa prostituire delle ragazze, le vende agli amici drogati come lui. Ho paura che faccia quello che ha minacciato, vendere anche le bambine, le sue. Devo portarle via di qui e farle studiare.

GLI SVILUPPI, CON L’AIUTO DEL PROGETTO E  DELLA SUA SPONSOR
Le cose cominciano a migliorare con il sostegno mensile di Francesca. Seema può provvedere a sé e alle figlie senza dover sottostare ai ricatti del marito. Hawca sorveglia che il denaro che riceve non diventi eroina per lui. Le sue figlie cominciano a frequentare la scuola e lei stessa studia, per poter un giorno realizzare il suo sogno. Vivere da sola con le sue figlie, poterle mantenere e farle studiare perché abbiano un destino migliore del suo.
Un giorno il marito porta a casa degli uomini, drogati come lui, e mostra con orgoglio le sue figlie, come al mercato. È soddisfatto, sono piaciute. La reazione di Seema e delle figlie è violentissima.
Questo lei non lo permetterà mai. E, adesso che riceve il denaro mensile, può, anche lei, ricattare il marito: il denaro che entra in casa, smetterà di arrivare se lui impedisce alle ragazze di studiare o se cerca di venderle! Il marito lascia perdere ma Hawca, comunque, lo tiene d’occhio, per scongiurare le sue pericolose iniziative. Seema, che è l’unica a sostenere la famiglia, trova un lavoro come cuoca in un ufficio.
Deve smettere, per un periodo, per mettere al mondo un’altra bambina. Le figlie sono brave a scuola e lei ritrova la speranza. Intanto le avvocate di Hawca cercano di ottenere il divorzio. La tossicodipendenza del marito è un punto a suo favore ma il problema è ottenere la custodia delle figlie, Seema non le può lasciare con lui.

ULTIME NOTIZIE
Seema ha trovato un lavoro migliore, in una casa di persone ricche del suo quartiere, la piccola cresce bene e le ragazze vanno a scuola. Sembra davvero che le cose si mettano sempre meglio. Ma, un mese fa, un brutto colpo fa precipitare il fragile equilibrio della sua vita. Il marito attraversa la strada, con una delle bambine. Un’auto della polizia, a forte velocità, li investe. Muoiono entrambi.
Seema non riesce a dimenticare quel giorno, è sconvolta. Non può più lavorare perché deve occuparsi delle figlie piccole. Come sempre in Afghanistan, nella tragedia s’inserisce anche la minaccia di una vita ancora peggiore. Il cognato, come da tradizione, pretende che lei lo sposi e vada a vivere con lui. Seema non ne ha nessuna intenzione e continua a rifiutare. Lei vuole vivere da sola con le figlie e riuscire a lavorare e a mantenerle.
Seema non ha più sponsor da tempo e ha davvero bisogno di aiuto immediato. Non sappiamo quanto potrà resistere al ricatto del cognato, avendo, adesso, molti problemi di sopravvivenza.

 

NELAB

La storia di Nelab, all’inizio del progetto.

Ho 34 anni e sono di Yak-o-Lang, un distretto della provincia di Bamyan.
A 13 anni mio padre mi ha sposato a un nostro parente. Ho avuto due figli. Vivevamo tutti insieme, vicini, al villaggio. Tutti hazara. Quel giorno sono arrivati i talebani a spazzare via la mia vita.
Non ricordo niente, non voglio, quel giorno è affondato chissà dove. Ricordo solo quel silenzio, dopo, per quei pochi che erano rimasti vivi, come me. Non si è salvato nessuno dei miei. Tutta la mia famiglia, genitori, fratelli, zii, e mio marito. Da allora non sono più la stessa. Perfino io non mi riconosco. Ho molti problemi psicologici che mi rendono la vita difficile. Dopo qualche mese dalla tragedia, mio cognato si è spostato a Kabul e mi ha preso con sé con i miei figli. Ma qui è una vergona, una cosa che non si può fare, vivere con un uomo che non è il marito.
Così lui ha cominciato ad ossessionarmi: vuole sposarmi a tutti i costi. Mi minaccia: si prenderà i miei figli e mi sbatterà fuori di casa se non accetto. Ma io non voglio un altro marito. Voglio stare con i miei figli e basta. Per questo sono andata al Centro Legale. Vorrei un po’ di pace. Vorrei ritrovare me stessa, com’ero prima.

GLI SVILUPPI, CON L’AIUTO DEL PROGETTO E DELLA SUA SPONSOR
‘La mia vita è cambiata completamente.’ Dice Nelab. Prima di tutto, l’aiuto di Lucia la libera dal ricatto. Non ha più bisogno del cognato per vivere, non è più costretta a sposarlo. Riesce a stare da sola con i figli. Trova un lavoro, come cuoca in una ditta e guadagna abbastanza per dar da mangiare ai suoi figli. Con il denaro del progetto riesce anche a curare i suoi gravi disturbi psicologici dovuti al terribile shock di quella notte di sangue. I figli vanno a scuola e lei ne è molto orgogliosa. Sono la sua speranza, ci dice.

ULTIME NOTIZIE
Nelab ha cambiato lavoro, fa la cuoca in una casa privata, che le permette , faticosamente, di provvedere alla famiglia. Non ha più sponsor da molti mesi e non può più pagarsi le spese mediche di cui ha bisogno e l’assistenza dello psicologo che l’aveva riportata a una vita normale. Hawca le ha destinato la metà di una donazione  che il progetto ha ricevuto da Grazia. Era urgente che non interrompesse le sue cure. Ha ancora molto bisogno di aiuto perché le sue conquiste diventino più stabili e il suo percorso più sicuro. Basta un piccolo cedimento e il cognato potrebbe tornare all’attacco e minacciare la sua fragile libertà.

MANIZHA

La storia  di questa giovane donna aveva fatto, nel febbraio ’13, il giro dei media internazionali. Il suo caso, tra i tanti di violenza sommersa in Afghanistan, era stato raccolto da un giornalista della BBC afghana. Quando la incontra fa fatica a guardarla. Il suo giovane e bel viso irriconoscibile. Manizha, ha alle spalle due anni di matrimonio, passati, per la maggior parte, legata, in una cantina, picchiata, frustata, torturata dal marito, dal suocero, da tutta la famiglia. Il padre della ragazza, in visita, vede sua figlia e rimane sconvolto. Gli raccontano che è caduta per le scale ma Homayoun non ci crede e reagisce con prontezza. Con una scusa la riporta a casa, a Kabul. A Ghazni, in quella casa, non tornerà mai più. Manizha viene affidata ad Hawca e ricoverata in ospedale. E’ inserita nel progetto e il suo caso trova posto d’urgenza sulle pagine dell’Unità. All’appello di aiuto i lettori rispondono numerosi, con grande generosità. Manizha può essere curata da medici migliori e sta meglio. Poi, Albalisa diventa la sua sponsor in questi anni, standole vicino, con affetto e attenzione. Le  ferite del suo corpo, pian piano, si rimarginano. Quelle della sua mente ci mettono di più. Il padre si è giocato tutto, la stima e l’amicizia della famiglia, il rispetto dei vicini, per aiutarla. Hanno tutti paura, il marito di Manizha è un uomo potente.

Vado a trovare Manizha, nel maggio ’13, nella casa della sua famiglia a Kabul.

A CASA DI MANIZHA (maggio ’13 – Unità)

Shafiqa ha 30 anni, capacità diplomatica, autorità e calore umano. Dirige i programmi di assistenza di Hawca. Segue i casi delle donne che si rivolgono a loro, consegna il denaro dei nostri sponsor. Mi accompagna a casa di Manizha, la giovane donna, seviziata dal marito, che i nostri lettori continuano ad aiutare. Manizha è cambiata in questi mesi. È ancora fragile ma ha voglia di parlare e i suoi desideri cominciano a farsi spazio, oltre la disperazione. Discutiamo a lungo, con lei e con suo padre Homayoun, seduti sui tushak, lunghi cuscini fiorati posati sul pavimento, coperto di tappeti, beviamo infinite tazze di tè.

La stanza è luminosa e ordinata, Manizha, che ha ancora sul viso le cicatrici del suo orribile passato, fisicamente si è ripresa. Ma, ancora, mentre parliamo, quando si toccano argomenti difficili, si scioglie in lacrime. Non sanno darsi una spiegazione per quello che è successo. Per i primi tre mesi Faruq era stato un buon marito. ‘Un giorno, racconta Manizha, ha visto un video in tv. Un uomo teneva la moglie segregata in cantina, la torturava, le strappava le unghie. L’idea gli è piaciuta, ha detto che lo avrebbe fatto anche lui.
È lì che tutto è cominciato.’ Forse, ipotizza  il padre, sconsolato, erano scontenti di lei, del suo lavoro. Il divorzio, ottenuto nella jirga in cambio del perdono della ragazza, non è una garanzia. Queste storie, qui, si portano dietro strascichi di paura e di odio. Il marito è un uomo potente a Ghazni e potrebbe arrivare da un momento all’altro a riprendersela con la forza. Homayoun è deciso a farle scudo col suo corpo, la difenderà a costo della vita.

Ma non è questa la soluzione. Shafiqa viene qui spesso, per convincerlo a permettere che la figlia viva al sicuro e possa studiare allo shelter di Hawca. Altrimenti non possono proteggerla. L’uomo scuote la testa. Lui sa che lo shelter è un buon posto. Ma qui la gente crede che sia un luogo d’infedeli o peggio di prostituzione.
‘Cosa direbbero di me? Di un padre che non è in grado di prendersi cura di sua figlia o peggio che vuol fare soldi con lei?’ Shafiqa  è paziente, è sicura che riuscirà a fargli cambiare idea. Homayoun sta pagando molto per la sua scelta coraggiosa. È solo. Per i suoi fratelli è diventato un nemico perché ha permesso il divorzio della figlia, gettando la vergogna su tutti loro. E Manizha si sente in colpa per la guerra di famiglia. Si sente fuori posto, rattrista tutti con la sua sfortuna. Non può uscire di casa, per sicurezza, e si impegna nei lavori domestici, per non pensare, dice con un filo di voce. Il divorzio, spiega Shafiqa, non è una condanna.
Potrà rifarsi una vita. ‘Ieri- racconta il padre-  è venuto qui un uomo, voleva sposarla, ma era vecchio e mi sono rifiutato.
Questa volta dovrò essere certo che si prenda cura di lei.’ Adesso è Manizha a scuotere la testa. Lei ha altri programmi. Li spiega con decisione, muovendo in fretta le mani, parlando a raffica. Per adesso, di mariti, non vuole più saperne. Vuole riprendere a studiare, diventare capace di mantenersi. Poi si vedrà.’ Shafiqa l’appoggia,  andare a scuola le farebbe bene. Homayoun ha altri 5 figli, guadagna 30-50 afghani al giorno, meno di un dollaro. Ma con l’aiuto degli sponsor se lo possono permettere.
Gli ostacoli messi in campo dal padre sono presto smontati da Shafiqa. L’uomo riflette un attimo, in silenzio, sulla tazza di tè, Manizha segue attenta la discussione. Con un sospiro ammette:’ Sì io sono pronto ad accompagnarla a scuola, ma solo se lei si impegna a studiare.’ Manizha, lo rassicura, con una marea di parole appassionate. ‘Khob, va bene. Allora cominciamo domani stesso.’ Il sorriso di Manizha adesso va da un orecchio all’altro. Si asciuga le lacrime con il velo. Shafiqa è contenta. Qualcosa almeno lo abbiamo ottenuto. Per oggi basta.

ULTIME NOTIZIE
La conquista di quel pomeriggio è stata importante per Manizha, più di quello che potevamo pensare. Si è impegnata negli studi con grande determinazione, è molto brava. Il suo sogno , il suo progetto di studio e autonomia, occupa i suoi pensieri al posto del suo incubo passato. Da qualche mese è diplomata e questo le ha dato una grande gioia. Le cose si stavano mettendo bene per lei ma un mese fa è morto uno zio al quale era molto affezionata, l’unico che l’ha sostenuta, insieme al padre. Il lutto ha risvegliato la depressione, la sua fragilità emotiva ha ripreso il sopravvento.

Ma, ancora, un grande progetto potrebbe ridarle forza, nutrire la sua resilienza. Manizha ha avuto ed ha il coraggio di cambiare il suo futuro. Vorrebbe frequentare l’Università ma  la famiglia è molto povera e non ce la farebbe mai a sostenerla. Che una giovane donna come lei, che ha vissuto un simile abisso, che combatte ogni giorno per la sua vita e la sua libertà, abbia la forza e il desiderio di continuare a studiare e costruirsi una vita autonoma, è davvero un miracolo. Ha bisogno di aiuto per realizzare il suo sogno.

Chi vuole dare una mano a queste donne coraggiose (con un sostegno di 50 o 25 euro al mese, o con una donazione una tantum) può scrivere una mail a: vitepreziose@gmail.com

Modalità di partecipazione:

  • 50 euro mensili, sostegno completo per una donna
  • 25 euro mensili, condivisione di due sponsor per una donna
  • Donazione ‘una tantum’

Su questo sito troverete tutte le informazioni sul progetto. Prossimamente pubblicheremo i nuovi aggiornamenti che ci arrivano da Kabul.

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